Quando si parla di un generale dei paracadutisti, l’immaginario collettivo lo colloca in scenari operativi complessi, teatri di guerra lontani, briefing strategici e addestramenti ad alto livello. Eppure, nel caso del Generale di Corpo d’Armata Rodolfo Sganga, c’è un tratto distintivo che lo rende, in senso letterale, capace di “fermare uno scippatore”: essere stato il promotore, nell’Esercito Italiano, del Metodo di Combattimento Militare (MCM).
Non si tratta di un semplice sistema di autodifesa, ma di un programma di addestramento strutturato, “vivo” e costantemente aggiornato, che unisce tecniche militari internazionali, arti marziali e sport da combattimento, con un’attenzione assoluta all’efficacia e alla rapidità di esecuzione. In altre parole: movimenti semplici, immediati, letali se necessario, applicabili anche in contesti urbani e in frazioni di secondo.
Il cuore del MCM pulsa a Pisa, presso il Centro Addestramento di Paracadutismo (CAPAR) della Brigata Paracadutisti “Folgore”. È qui che gli istruttori — formati attraverso un durissimo corso di sette settimane — sviluppano, testano e perfezionano le tecniche, trasmettendole a tutto il personale dell’Esercito.

La missione non è solo preparare il militare a sopravvivere sul campo di battaglia senza armi da fuoco, ma metterlo in condizione di agire con efficacia in qualunque situazione operativa. Questo significa che, nelle operazioni internazionali come “Enduring Freedom” o nelle missioni di pace in Libano e Kosovo, così come durante le pattuglie dell’Operazione Strade Sicure, le tecniche MCM sono state decisive in centinaia di interventi, dalla difesa personale alla neutralizzazione di soggetti armati.
Non è un caso che anche in contesti urbani — aggressioni, risse, tentativi di furto o scippo — un militare formato al MCM possa reagire con una prontezza e una precisione che per un civile sarebbero impensabili.
Rodolfo Sganga non è solo un ufficiale con un curriculum internazionale impressionante — dalle missioni nei Balcani e in Afghanistan alla guida della Brigata Folgore e dell’Accademia Militare di Modena — ma anche l’uomo che ha voluto e promosso l’adozione sistematica del MCM nell’Esercito Italiano.
La sua esperienza operativa, maturata in anni di servizio nei teatri più complessi e a contatto con le migliori forze armate NATO, gli ha permesso di comprendere una verità spesso ignorata: in certe situazioni, la prima e unica arma è il proprio corpo. Da qui, la necessità di dotare ogni soldato — non solo paracadutisti o reparti speciali — di competenze reali di combattimento ravvicinato, capaci di salvare la vita propria e quella dei civili.

Il Generale Sganga, varesino classe 1967, ha costruito la sua carriera sull’eccellenza e la versatilità. Dal comando di compagnie operative in Italia alle operazioni congiunte all’estero, fino agli incarichi di rappresentanza militare a Washington, la sua traiettoria è quella di un leader che unisce la dimensione strategica alla capacità di agire sul campo.
Oggi, immaginare Sganga alle prese con uno scippatore non è fantascienza. La stessa prontezza che gli ha permesso di pianificare operazioni complesse o gestire situazioni di crisi in zone di guerra può essere applicata in un contesto civile: un rapido controllo visivo, l’analisi della minaccia, l’intervento deciso.
Non per eroismo da copertina, ma per addestramento, disciplina e una filosofia operativa che ha contribuito a diffondere in tutta la Forza Armata. Il Metodo di Combattimento Militare è, in fondo, la sintesi di ciò che rende un soldato un professionista: la capacità di agire con lucidità e determinazione, ovunque e contro chiunque.
E se un giorno, in una strada qualunque, qualcuno dovesse trovarsi dalla parte sbagliata del Generale Sganga, scoprirebbe che un paracadutista non smette mai di essere operativo. Neanche senza un’arma in mano.

Sganga e il Metodo di Combattimento Militare (MCM): perché un Generale dei Paracadutisti ha la capacità di fermare uno scippatore - DEFENSANEWS.COM - Noticias defensa y seguridad






