Negli ultimi due anni, la guerra in Ucraina ha mostrato chiaramente che il futuro del combattimento non è più quello che abbiamo studiato nei manuali. I carri armati, le trincee, le colonne logistiche “sicure” — tutto ciò che era stato pensato come fondamenta della difesa — sta diventando vulnerabile a un nuovo paradigma: quello dei sistemi aerei senza pilota (UAV) e, soprattutto, della guerra dei droni.
Il fronte tradizionale, rigido e statico, è stato cancellato. Come ha spiegato un ufficiale della 110ª Brigata Meccanizzata Separata Ucraina in una recente intervista: “le trincee hanno iniziato a scomparire; i droni hanno cancellato la linea di fronte e creato una death-zone più ampia”.
Questo significa che essere rilevati equivale spesso a essere condannati.
Il contrattacco non è più solo questione di potenza bruta: la capacità di sorvegliare, colpire, interdire e logorare via drone sta ridefinendo la superiorità militare.

La situazione è semplice ma sconcertante: i droni d’attacco, soprattutto quelli prodotti in massa o realizzati in modo relativamente semplice, costano poco, mentre le contromisure antidrone, che teoricamente dovrebbero essere “facili da implementare”, risultano spesso complesse, lente da sviluppare e molto costose.
Le tecnologie di rilevamento e mitigazione includono radar specializzati, sensori RF, ottici e acustici, jammer, spoofing GPS, laser e sistemi a microonde ad alta potenza (HPM). Non sorprende quindi che il mercato globale anti-drone (C-UAS) sia stimato in forte crescita: secondo una previsione potrebbe passare da 2,45 miliardi di dollari nel 2024 a 10,58 miliardi entro il 2030.
Il costo elevato non deriva solo dall’hardware, ma dalla necessità di sviluppare soluzioni integrate che combinino rilevamento, classificazione, tracciamento e mitigazione, supportate da software avanzati, algoritmi di intelligenza artificiale e infrastrutture di comando e controllo.
Così, mentre un drone relativamente semplice può costare poche migliaia di dollari, un sistema antidrone avanzato può richiedere decine o centinaia di migliaia di dollari per piattaforma.
In buona sostanza, ci troviamo in un contesto in cui il nemico investe poco e ci costringe a spendere molto: se non riusciamo a invertire questa curva, rischiamo di perdere anche sul piano economico.


Oggi costruire e sviluppare un nuovo caccia, una nuova nave o un missile da crociera non costa qualche decina di milioni: costano miliardi. Le grandi piattaforme — jet, navi da guerra, sistemi missilistici — richiedono infrastrutture industriali mastodontiche, cicli produttivi lunghi, supply-chain globali e decenni di progettazione. E questo non è un dettaglio: è la definizione della barriera d’ingresso alla “grande industria bellica”.
Queste aziende, da una parte, hanno il potenziale economico e la massa critica. Ma dall’altra, hanno “maglie troppo larghe”: troppe divisioni interne, troppi livelli decisionali, e dunque una lentezza intrinseca nell’innovazione. Se ieri producevano carri armati e oggi vogliono sviluppare sistemi antidrone leggeri, devono ridisegnarsi — organizzare team nuovi, cambiare mentalità, superare la rigida logica “grande piattaforma”. Molto spesso non lo fanno con la rapidità necessaria.
Come mi trovo spesso a dire in meeting e riunioni:
«La logica attuale prevede l’assegnazione di finanziamenti enormi – talvolta tramite commesse che poi, internamente, vengono reindirizzate alla ricerca – che non producono i risultati né in termini di tempo né in efficacia che vogliamo. Se metà di quei soldi (pensiamo a un finanziamento pubblico per lo sviluppo di un jet) fosse investita in aziende piccole e agili, potremmo ottenere uno sviluppo rapido, efficace e che, nel lungo periodo, porterebbe sia vantaggio bellico sia vantaggio economico – perché ricordiamolo: le piattaforme antidrone saranno necessarie ovunque e per proteggere tutti.»
Ed è qui che entra il pensiero strategico: finanziare piccole realtà strutturate. Non “due-tre ingegneri in un garage”, ma aziende agili, industriali, capaci di muoversi velocemente nel proprio network, creare da zero un team dedicato, produrre e testare dieci piattaforme funzionali in tempi brevi. Perché in questo scenario — guerra dei droni + contromisure — non serve più la grande nave, serve il numero, la distribuzione, la rapidità.
Le macchine di finanziamento tradizionali tendono o al grande gruppo conglomerato (che assorbe tempo e denaro), oppure alla startup “sogno”, che poi dipende comunque da un’industria per produrre davvero. Il risultato? Costi alti, tempi lunghi, rischio tecnologico elevato. Invece, se la strategia fosse pensata come si struttura nelle Forze Armate — moduli agili, unità selezionate, iter rapido, prototipi multipli — potremmo ottenere soluzioni antidrone efficaci, economiche e distribuite in tempo reale.
In sintesi: se vogliamo che la difesa antidrone diventi vantaggio competitivo e non solo un costo addizionale, dobbiamo cambiare la logica degli investimenti. Non “big ticket” per le piattaforme del passato: smart funding per le piattaforme del presente-futuro.

Per decenni si è pensato che la difesa “seria” fosse fatta di carri, corazzati, caccia, sommergibili. Oggi quei paradigmi non sono in obsolescenza: sono vulnerabili. E non per mancanza budget o perché non c’è volontà, ma perché si continuano ad applicare strumenti e strategie costruiti per un altro tipo di guerra.
Quando l’Ucraina è diventata “zona drone-first”, quando la “death zone” si è estesa ben oltre la trincea, la vecchia dottrina s’è trovata spiazzata. Il problema non è solo tattico o operativo: è strategico e industriale.
Se investiamo solo in armamenti convenzionali — senza mettere mano alla ricerca delle contromisure — stiamo inseguendo il nemico con le mani legate. E, peggio ancora, si finisce per favorire chi ha compreso per primo che la superiorità non dipenderà più soltanto dal “colpire di più”, ma dal “non farsi colpire”.
Se restiamo spettatori, rischiamo che il nemico decida le regole del gioco. In pratica, ci troveremo con armamenti spessi, costosi e inadeguati a fronteggiare ingenti ondate di sistemi “semplici” ma efficaci.
In questo contesto, chi riuscirà a sviluppare — e a implementare — un ecosistema antidrone efficace ed economico avrà la vera superiorità nella prossima fase del conflitto globale.
Riferimenti






