Quando i droni cambiano il volto della guerra

ClintClintClint RoomIndustria6 giorni fa161 Visualizzazioni

Negli ultimi due anni, la guerra in Ucraina ha mostrato chiaramente che il futuro del combattimento non è più quello che abbiamo studiato nei manuali. I carri armati, le trincee, le colonne logistiche “sicure” — tutto ciò che era stato pensato come fondamenta della difesa — sta diventando vulnerabile a un nuovo paradigma: quello dei sistemi aerei senza pilota (UAV) e, soprattutto, della guerra dei droni.

Il fronte tradizionale, rigido e statico, è stato cancellato. Come ha spiegato un ufficiale della 110ª Brigata Meccanizzata Separata Ucraina in una recente intervista: “le trincee hanno iniziato a scomparire; i droni hanno cancellato la linea di fronte e creato una death-zone più ampia”.

Questo significa che essere rilevati equivale spesso a essere condannati.

Il contrattacco non è più solo questione di potenza bruta: la capacità di sorvegliare, colpire, interdire e logorare via drone sta ridefinendo la superiorità militare.

Quando i droni cambiano il volto della guerra
Un soldato ucraino in trincea vicino a Bakhmut all’inizio del conflitto con la Russia – Copyright Efrem Lukatsky/Ap

Il paradosso dell’antidrone: costosissimo per difendersi da qualcosa che costa poco

La situazione è semplice ma sconcertante: i droni d’attacco, soprattutto quelli prodotti in massa o realizzati in modo relativamente semplice, costano poco, mentre le contromisure antidrone, che teoricamente dovrebbero essere “facili da implementare”, risultano spesso complesse, lente da sviluppare e molto costose.

Le tecnologie di rilevamento e mitigazione includono radar specializzati, sensori RF, ottici e acustici, jammer, spoofing GPS, laser e sistemi a microonde ad alta potenza (HPM). Non sorprende quindi che il mercato globale anti-drone (C-UAS) sia stimato in forte crescita: secondo una previsione potrebbe passare da 2,45 miliardi di dollari nel 2024 a 10,58 miliardi entro il 2030.

Il costo elevato non deriva solo dall’hardware, ma dalla necessità di sviluppare soluzioni integrate che combinino rilevamento, classificazione, tracciamento e mitigazione, supportate da software avanzati, algoritmi di intelligenza artificiale e infrastrutture di comando e controllo.

Così, mentre un drone relativamente semplice può costare poche migliaia di dollari, un sistema antidrone avanzato può richiedere decine o centinaia di migliaia di dollari per piattaforma.

In buona sostanza, ci troviamo in un contesto in cui il nemico investe poco e ci costringe a spendere molto: se non riusciamo a invertire questa curva, rischiamo di perdere anche sul piano economico.

Quando i droni cambiano il volto della guerra
Il sistema laser C-UAS DragonFire della Difesa britannica, previsto per il 2027, deriva da un programma di sviluppo delle armi a energia diretta con costi per circa 1 miliardo di sterline – Copyright British Defense Ministry

I fattori che fanno lievitare i costi

  1. Sensori e piattaforme modulari: configurazioni multi-sensore (radar + ottico + RF + acustico) sono costose da sviluppare, integrare e mantenere. Ogni nuovo sensore aggiunge peso, alimentazione, raffreddamento, software.
  2. Effettori di contromisura: le soluzioni avanzate come laser ad energia diretta, microonde, takeover elettronico richiedono ricerca costosa, componenti speciali, test ambientali rigorosi.
  3. Software, AI e integrazione C2: non basta “vedere” un drone, bisogna classificarlo, decidere la risposta, attivarla in tempo reale. La latenza, la fiducia del sistema, la resilienza agli attacchi (es. spoofing o guerra elettronica) rappresentano costi non banali.
  4. Scalabilità e produzione di massa: se il sistema è pensato per fronteggiare ondate di droni, non bastano pochi sistemi costosi: servono molti sistemi distribuiti, e questo richiede industrializzazione.
  5. Aggiornamenti e obsolescenza rapida: i droni evolvono rapidamente (più piccoli, più silenziosi, materiali stealth, comunicazioni mesh), e le contromisure devono correre più veloci. Ciò comporta costi di upgrade continui.

Dove invece i costi potrebbero essere significativamente ridotti

  • Focus su piattaforme leggere e mirate: non sempre serve un sistema “mega-mastodontico”. Per certe minacce locali o infrastrutture critiche, moduli più snelli, meno costosi ma efficaci possono essere sufficienti.
  • Cooperazione e condivisione: se più attori (governi, industria, mondo della ricerca) collaborassero per standard comuni e modularità, i costi unitari scendono.
  • Sfruttamento di realtà emergenti/PMI: spesso le PMI o le spin-off possono sviluppare soluzioni agili, economiche, più rapide nell’adozione. Un finanziamento mirato a “piccole realtà” potrebbe rompere il monopolio delle grandi aziende della difesa e ridurre il costo complessivo del sistema antidrone.
  • Economia di scala e dual-use: se i sensori/effettori sviluppati per il militare hanno anche applicazioni civili (infrastrutture critiche, eventi, aeroporti), il volume di produzione si alza e il costo per unità scende.
Quando i droni cambiano il volto della guerra
Soldati americani con un sistema C-UAS di DroneShield, azienda australiana fondata nel 2014 e oggi leader nel settore dual-use, dove tecnologie nate per il mercato civile contribuiscono direttamente allo sviluppo di capacità militari avanzate – Copyright DRONESHIELD LTD

Investimenti intelligenti o rincorsa da elefanti?

Oggi costruire e sviluppare un nuovo caccia, una nuova nave o un missile da crociera non costa qualche decina di milioni: costano miliardi. Le grandi piattaforme — jet, navi da guerra, sistemi missilistici — richiedono infrastrutture industriali mastodontiche, cicli produttivi lunghi, supply-chain globali e decenni di progettazione. E questo non è un dettaglio: è la definizione della barriera d’ingresso alla “grande industria bellica”.

Queste aziende, da una parte, hanno il potenziale economico e la massa critica. Ma dall’altra, hanno “maglie troppo larghe”: troppe divisioni interne, troppi livelli decisionali, e dunque una lentezza intrinseca nell’innovazione. Se ieri producevano carri armati e oggi vogliono sviluppare sistemi antidrone leggeri, devono ridisegnarsi — organizzare team nuovi, cambiare mentalità, superare la rigida logica “grande piattaforma”. Molto spesso non lo fanno con la rapidità necessaria.

Come mi trovo spesso a dire in meeting e riunioni:

«La logica attuale prevede l’assegnazione di finanziamenti enormi – talvolta tramite commesse che poi, internamente, vengono reindirizzate alla ricerca – che non producono i risultati né in termini di tempo né in efficacia che vogliamo. Se metà di quei soldi (pensiamo a un finanziamento pubblico per lo sviluppo di un jet) fosse investita in aziende piccole e agili, potremmo ottenere uno sviluppo rapido, efficace e che, nel lungo periodo, porterebbe sia vantaggio bellico sia vantaggio economico – perché ricordiamolo: le piattaforme antidrone saranno necessarie ovunque e per proteggere tutti.»

Ed è qui che entra il pensiero strategico: finanziare piccole realtà strutturate. Non “due-tre ingegneri in un garage”, ma aziende agili, industriali, capaci di muoversi velocemente nel proprio network, creare da zero un team dedicato, produrre e testare dieci piattaforme funzionali in tempi brevi. Perché in questo scenario — guerra dei droni + contromisure — non serve più la grande nave, serve il numero, la distribuzione, la rapidità.

Le macchine di finanziamento tradizionali tendono o al grande gruppo conglomerato (che assorbe tempo e denaro), oppure alla startup “sogno”, che poi dipende comunque da un’industria per produrre davvero. Il risultato? Costi alti, tempi lunghi, rischio tecnologico elevato. Invece, se la strategia fosse pensata come si struttura nelle Forze Armate — moduli agili, unità selezionate, iter rapido, prototipi multipli — potremmo ottenere soluzioni antidrone efficaci, economiche e distribuite in tempo reale.

In sintesi: se vogliamo che la difesa antidrone diventi vantaggio competitivo e non solo un costo addizionale, dobbiamo cambiare la logica degli investimenti. Non “big ticket” per le piattaforme del passato: smart funding per le piattaforme del presente-futuro.

Quando i droni cambiano il volto della guerra
La gamma HYDRA dell’azienda francese CerbAir, fondata nel 2015 all’interno dell’ecosistema X–HEC, il polo d’innovazione che mette in rete l’università scientifica e di ingegneria École Polytechnique e la business school HEC Paris, rappresenta un caso di eccellenza dual-use: sistemi di rilevamento RF passivo progettati per proteggere sia infrastrutture civili sia installazioni militari dalla crescente minaccia dei droni – Copyright CerbAir

In conclusione: svegliamoci prima che diventi troppo tardi

Per decenni si è pensato che la difesa “seria” fosse fatta di carri, corazzati, caccia, sommergibili. Oggi quei paradigmi non sono in obsolescenza: sono vulnerabili. E non per mancanza budget o perché non c’è volontà, ma perché si continuano ad applicare strumenti e strategie costruiti per un altro tipo di guerra.

Quando l’Ucraina è diventata “zona drone-first”, quando la “death zone” si è estesa ben oltre la trincea, la vecchia dottrina s’è trovata spiazzata. Il problema non è solo tattico o operativo: è strategico e industriale.

Se investiamo solo in armamenti convenzionali — senza mettere mano alla ricerca delle contromisure — stiamo inseguendo il nemico con le mani legate. E, peggio ancora, si finisce per favorire chi ha compreso per primo che la superiorità non dipenderà più soltanto dal “colpire di più”, ma dal “non farsi colpire”.

Cosa va fatto?

  • Rivedere la dottrina: considerare la difesa antiaerea e antidrone come componente primaria, non addizionale.
  • Mettere i fondi nella ricerca: non solo comprare ciò che c’è, ma sviluppare ciò che serve. In particolare puntare su algoritmi e sensori più intelligenti e meno costosi.
  • Favorire le PMI e le startup: premiare chi pensa soluzioni rapide, leggere, modulari.
  • Creare interoperabilità e efficienza industriale: un sistema antidrone pensato in modo isolato sarà sempre più caro e lento.
  • Anticipare la minaccia: capire che i droni non sono più un “potenziale” ma un “qui e ora”. Ignorarli non è opzione.

Se restiamo spettatori, rischiamo che il nemico decida le regole del gioco. In pratica, ci troveremo con armamenti spessi, costosi e inadeguati a fronteggiare ingenti ondate di sistemi “semplici” ma efficaci.

In questo contesto, chi riuscirà a sviluppare — e a implementare — un ecosistema antidrone efficace ed economico avrà la vera superiorità nella prossima fase del conflitto globale.

Riferimenti

  • “Anti-drone Market Size And Share | Industry Report, 2030” – Grand View Research. Grand View Research
  • “Anti-Drone Market Size, Share & Trends, 2025 To 2030” – Markets and Markets. MarketsandMarkets
  • “Anti-Drone Market Size to Hit USD 26.26 Billion by 2034” – Precedence Research. Precedence Research
  • “Counter-Unmanned Aircraft System(s) (C-UAS): State of the Art, Challenges and Future Trends” – Jian Wang et al. (2020) via arXiv. arXiv
  • “Introduction to Drone Detection Radar with Emphasis on Automatic Target Recognition (ATR) technology” – Gong et al. (2023) via arXiv. arXiv
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2 articoli pubblicati
Al secolo Danilo Amelotti, Sottufficiale Incursore in congedo del 9º Reggimento d'Assalto Paracadutisti "Col Moschin" e Security Expert. Youtuber e TikToker con oltre 33.000 follower

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