Questa è l’opinione di Daniel L. Davis, ufficiale in congedo dell’U.S. Army e analista di sicurezza, apparsa su Military.com. L’autore mette in discussione la capacità degli Stati Uniti di affrontare una guerra moderna, dove l’impiego massivo dei droni ha cambiato radicalmente il campo di battaglia.
All’inizio di quest’anno, durante una conferenza stampa in Qatar, il presidente Donald Trump ha affermato con sicurezza: «Nessuno può batterci. Abbiamo l’esercito più forte del mondo, di gran lunga. Non la Cina, non la Russia, nessuno!».
Un’affermazione che fotografa una potenza militare ancora imponente, ma che nasconde un problema di fondo: gli Stati Uniti non sono preparati a combattere una guerra moderna. La potenza di fuoco e la tecnologia contano, ma il fattore umano – la capacità di integrare i soldati con i nuovi strumenti di guerra, in primis i droni – resta decisivo. Ed è proprio su questo terreno che Washington appare in ritardo.
Dall’invasione russa del 2022, il conflitto in Ucraina ha dimostrato che la guerra di terra è cambiata radicalmente. Davis, sulla base di studi e interviste a combattenti da entrambe le parti, sottolinea come i droni abbiano trasformato il campo di battaglia.
Non è un singolo modello a fare la differenza, ma l’uso combinato di più categorie:
Il risultato è che ogni metro di territorio è costantemente sotto osservazione e minaccia. In Ucraina uscire da una trincea, anche solo per mangiare o per un bisogno fisiologico, può significare esporsi a un attacco in pochi minuti.
Gli attacchi tradizionali con carri armati in massa – come quelli che Davis condusse durante la Guerra del Golfo nel 1991 – oggi sarebbero una condanna. Non a caso Mosca ha iniziato a usare motociclette per spostarsi sul fronte: non offrono protezione, ma velocità e manovrabilità che aumentano le chance di sopravvivenza rispetto a un blindato bersaglio dei droni.
Nonostante l’impatto tecnologico, la guerra resta questione di uomini. Solo la fanteria può prendere o difendere un territorio. È qui che la Russia, con una popolazione più vasta, ha avuto un vantaggio: ha limitato le perdite frontali, puntando invece su bombardamenti massicci, droni per immobilizzare le difese e fanteria per finalizzare l’assalto.
L’Ucraina, con risorse umane più ridotte, paga un prezzo elevato in questa guerra di logoramento. E per gli Stati Uniti e la NATO il messaggio è inequivocabile: non sappiamo ancora combattere in questo modo.
Il Pentagono ha iniziato solo di recente a prendere sul serio la minaccia dei droni, nonostante avesse già ricevuto un avvertimento nel 2020 durante la guerra tra Armenia e Azerbaigian. Ma il problema non è solo tecnico: è culturale e dottrinale.
Washington continua a ragionare in termini di “shock and awe”, di manovre rapide e dominio tecnologico. Ma quelle strategie non funzionano più in uno scenario di confronto tra pari.
Anche la NATO ha avuto bisogno di tempo per adattarsi, e la Russia ci ha messo due anni a rivedere le sue dottrine. Ma Mosca ha cambiato approccio, mentre gli Stati Uniti restano ancorati a manuali che la stessa Ucraina ha definito “fuori dalla realtà”.
La qualità dei soldati e dei mezzi americani non è in discussione. Ciò che manca è la capacità di mettere a sistema droni, artiglieria, fanteria e mezzi corazzati in un ambiente bellico saturato di sensori e minacce aeree.
Il mese scorso l’U.S. Army ha pubblicato un compendio sulle lezioni apprese dal conflitto in Ucraina. Utile, certo. Ma non basta la teoria: servono cambiamenti radicali nella dottrina, nei sistemi d’arma, nelle munizioni e nell’addestramento.
Al momento, di questa trasformazione urgente non c’è traccia.
Il quadro delineato da Davis apre anche un interrogativo sulla preparazione dell’Esercito Italiano.
Nel campo dei mini e micro droni, Roma si trova a fare i conti con normative rigide che rallentano il processo addestrativo e operativo del personale, spesso sotto l’egemonia di attori esterni. L’industria nazionale della difesa, seppur con eccellenze riconosciute, appare non ancora pronta per i nuovi scenari di guerra tecnologica ed è in grave ritardo nella corsa allo spazio, oggi fattore strategico per il controllo del campo di battaglia.
Inoltre, manca ancora una dottrina organica per le operazioni militari unmanned, indispensabile per integrare droni terrestri, navali e aerei all’interno di un unico sistema operativo coerente. Senza questa cornice concettuale, il rischio è di restare vincolati a sperimentazioni isolate, incapaci di generare una reale capacità militare multidominio.
La storia è piena di eserciti potenti caduti per non aver saputo adattarsi ai tempi. Se gli Stati Uniti non vogliono aggiungersi a quella lista, devono agire ora. Ogni giorno di ritardo si tradurrà in vite umane perdute in futuro.
Lo stesso vale per l’Italia: senza un salto tecnologico, normativo e culturale, rischiamo di arrivare troppo tardi alla prossima sfida.

Ulchi Freedom Shield 25: Stati Uniti e Corea del Sud rafforzano la loro alleanza militare
Fonte: https://www.military.com/daily-news/opinions/2025/08/25/us-unprepared-next-war.html
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