Giorgia Meloni difende l’Esercito sul caso Università di Bologna: “lesi i doveri costituzionali dell’Ateneo”. La risposta dell’Ateneo: “Questioni di modello formativo”

CONDORALEXCONDORALEXBlogEsercito4 giorni fa114 Visualizzazioni

Il caso del corso di laurea in Filosofia per gli ufficiali dell’Esercito richiesto all’Università di Bologna non è un episodio isolato, né un semplice incidente accademico. È il punto di emersione di una frattura culturale che abbiamo analizzato nel nostro approfondimento di ieri, dedicato al rifiuto del Dipartimento di Filosofia di attivare un percorso specifico per i giovani ufficiali: un segnale di diffidenza verso le Forze Armate che ora è esploso sulla scena nazionale.

Oggi quella vicenda diventa un vero e proprio stress test istituzionale. Da una parte una decisione interna a un Dipartimento che ha scelto di non procedere; dall’altra la reazione compatta del governo, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la ministra dell’Università Anna Maria Bernini che difendono apertamente l’Esercito come presidio fondamentale della Repubblica e rivendicano il valore strategico della sua formazione culturale.

Meloni: “Scelta inaccettabile, si mette in discussione il ruolo delle Forze Armate”

La Presidente del Consiglio usa parole dure, che segnano il livello della posta in gioco. Definisce la decisione del Dipartimento di Filosofia dell’Alma Mater “un atto incomprensibile e gravemente sbagliato”, una “scelta inaccettabile” e addirittura “un gesto lesivo dei doveri costituzionali che fondano l’autonomia dell’Università”.

Nella lettura di GIorgia Meloni, l’università non può trasformarsi in un recinto chiuso dove l’Esercito viene tollerato solo come presenza marginale, ma deve essere un centro di pluralismo e confronto, chiamato ad accogliere e valorizzare ogni percorso di elevazione culturale, “restando totalmente estraneo a pregiudizi ideologici”. Il passaggio più forte riguarda però il cuore della vicenda: il rapporto tra Ateneo e Forze Armate.

La Premier ricorda che negare un percorso formativo specificamente pensato per gli ufficiali significa, di fatto, mettere in discussione il ruolo stesso dell’Esercito, che la Costituzione individua come strumento di difesa della Repubblica e della sicurezza dei cittadini.

In questo passaggio politico e simbolico, Giorgia Meloni non difende solo un progetto accademico, ma l’onore e la dignità dell’istituzione militare, rivendicandone il pieno diritto a essere riconosciuta come interlocutore naturale del mondo universitario.

La centralità della formazione umanistica per l’Ufficiale del XXI secolo

L’intervento della presidente del Consiglio insiste su un punto che, nel dibattito pubblico italiano, viene spesso rimesso in secondo piano: la natura della formazione degli ufficiali contemporanei. Per Meloni, arricchire la preparazione degli ufficiali con competenze umanistiche è un fattore strategico, non un ornamento culturale opzionale. In un contesto internazionale segnato da crisi ibride, guerre di informazione, campagne di influenza e operazioni in teatri complessi, la preparazione non può essere ridotta alla dimensione puramente tecnica.

Avere personale in uniforme formato anche in filosofia, storia delle idee, etica, logica e pensiero critico significa mettere l’Esercito in condizione di leggere il mondo, interpretare il comportamento degli attori ostili e alleati, comprendere l’impatto sociale e politico di ogni decisione sul campo. È l’idea dell’ufficiale come professionista delle armi e al tempo stesso interprete della complessità, capace di muoversi tra norme internazionali, opinione pubblica, relazioni tra Stati e società civili.

In questa prospettiva, l’Esercito non chiede privilegi, ma investe su una formazione più alta proprio per migliorare la qualità delle decisioni che riguardano la sicurezza di tutti.

La Ministra Bernini: “Mi faccio garante del corso”

Se la Premier definisce il rifiuto “inaccettabile”, la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini traduce politicamente quella valutazione in un impegno diretto. Dall’Accademia di Modena, Bernini dichiara di farsi garante della realizzazione del corso, precisando di sentirsi, in questo, espressione dell’intero governo.

La ministra difende il principio di autonomia accademica, ma ne rivendica il significato autentico: “Non esiste un’autonomia universitaria che possa trasformarsi in un muro o in una corazza”. L’autonomia – ricorda – non è il diritto di chiudersi al resto delle istituzioni dello Stato, ma uno spazio di libertà responsabile. E questa responsabilità include la capacità di dialogare con chi tutela, con le armi e con la legge, la stessa comunità nazionale che l’università è chiamata a servire sul piano culturale.

Non è un caso che Bernini ricordi la storia dell’Alma Mater come università più antica del mondo e “madre degli studi”. Proprio in virtù di quel ruolo, dice, l’ateneo dovrebbe essere in prima linea nel riconoscere l’importanza di “un corso scientifico e umanistico per i difensori del nostro domani”. Definire così gli ufficiali significa ribadire che l’Esercito non appartiene a un settore di nicchia, ma occupa un posto centrale nel patto repubblicano.

L’Esercito come istituzione educata alla responsabilità, non alla forza cieca

In questa vicenda emerge con forza un equivoco ricorrente: l’idea che la vicinanza tra università e Forze Armate comporti automaticamente un rischio di “militarizzazione” degli spazi culturali. È una visione rovesciata. L’Esercito italiano è un’istituzione rigorosamente incardinata nella Costituzione, dipendente dal Parlamento e dal governo, inserita in un sistema di alleanze democratiche come NATO e Unione Europea, vincolata da regole rigide sull’uso della forza.

Pensare che l’inserimento di ufficiali in percorsi di Filosofia comprometta la libertà dell’università significa ignorare che quegli stessi ufficiali giurano di difendere la libertà e i diritti dei cittadini, compresi quelli che oggi ne contestano la presenza nelle aule accademiche. La logica che ispira la richiesta dell’Esercito va in direzione opposta alla caricatura ideologica: più cultura, più senso critico, più strumenti per interrogarsi sull’etica dell’uso della forza, sulla legittimità delle operazioni, sul rapporto fra sicurezza e diritti.

L’istituzione militare, in questa lettura, non è un corpo estraneo da tenere alla porta, ma un soggetto dello Stato che chiede di essere ulteriormente formato, giudicato, messo alla prova sugli stessi terreni di responsabilità che l’università presidia da secoli.

La posizione dell’Università: questioni di modello formativo, non di accesso

Nella propria nota ufficiale, l’Università di Bologna precisa oggi di non aver mai negato l’iscrizione a nessuna persona e sottolinea che chiunque, in possesso dei requisiti, può iscriversi ai corsi esistenti, comprese le donne e gli uomini delle Forze Armate. L’oggetto della scelta riguarda, secondo l’Ateneo, la richiesta di attivare un percorso di studi strutturato ad hoc, interamente svolto presso l’Accademia, con un forte impegno di risorse didattiche e organizzative.

Il Dipartimento di Filosofia, dopo un confronto interno, avrebbe ritenuto di non poter procedere “allo stato dei fatti”, richiamando problemi di coerenza con l’offerta formativa e di sostenibilità. Il punto, però, è che questa motivazione tecnica è stata letta, da larga parte del mondo politico e istituzionale, come il sintomo di una difficoltà più profonda a riconoscere l’Esercito come partner formativo legittimo, al pari di altre istituzioni pubbliche con cui gli atenei collaborano quotidianamente.

È qui che la vicenda trascende il recinto interno dell’università e diventa questione nazionale: può un Dipartimento, aggiungiamo noi, rifiutare un percorso pensato per Ufficiali che rappresentano lo Stato, senza interrogarsi sul segnale che questo manda al Paese?

Oltre la polemica: cosa ci dice davvero il caso Bologna

Al di là delle contrapposizioni di giornata, la vicenda del corso di Filosofia per gli ufficiali dell’Esercito all’Università di Bologna racconta molto dell’Italia di oggi. Mostra quanto persistano resistenze culturali nel riconoscere alle Forze Armate un ruolo pienamente “adulto” dentro la società civile, non solo sul piano operativo ma anche su quello intellettuale.

Rivela contemporaneamente che una parte delle istituzioni politiche non è più disposta ad accettare, in silenzio, che pregiudizi ideologici si traducano in ostacoli alla crescita culturale di chi è chiamato a difendere la Repubblica.

Il fatto che la ministra Bernini abbia garantito che “il corso si farà” indica che, almeno sul terreno politico, la linea è stata tracciata: l’Esercito non va emarginato, ma accompagnato in un percorso di sempre maggiore integrazione con il mondo dello studio e della ricerca.

Difendere la possibilità per gli ufficiali di studiare Filosofia non è un vezzo, né una concessione simbolica: è un investimento sul futuro della nostra difesa, sul livello di coscienza e responsabilità di chi, domani, dovrà prendere decisioni in nome dell’Italia.

In questo senso, il caso Bologna non è solo una polemica destinata a spegnersi. È un passaggio rivelatore: ci dice se siamo disposti a riconoscere all’Esercito il posto che gli spetta non soltanto nelle parate e nelle emergenze, ma anche nel cuore della cultura nazionale, là dove si forma il pensiero critico.

E ci ricorda che difendere l’istituzione militare significa difendere la Repubblica stessa.

Giorgia Meloni difende l’Esercito sul caso Università di Bologna: "lesi i doveri costituzionali dell’Ateneo". La risposta dell'Ateneo: "Questioni di modello formativo"

Fonte: https://tg24.sky.it/politica/2025/12/01/meloni-universita-bologna-esercito-italiano

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Al secolo Alessandro Generotti, C.le magg. Paracadutista in congedo. Brevetto Paracadutista Militare nº 192806. 186º RGT Par. Folgore/5º BTG. Par. El Alamein/XIII Cp. Par. Condor. Fondatore e amministratore del sito web BRIGATAFOLGORE.NET e DIFESANEWS.COM. Blogger e informatico di professione

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