Roma, 4 dicembre – Il Generale di Corpo d’Armata MANNINO ha ospitato al CASD il Defence Summit promosso dall’Istituto Affari Internazionali e dal Sole 24 Ore, in collaborazione con il CASD, ha mostrato un sistema-Paese davanti a un passaggio critico: o la Difesa diventa asse strategico della politica nazionale ed estera, della trasformazione dottrinale e del ripensamento industriale, oppure l’Italia accetterà un ritardo strutturale nella competizione globale. Dal confronto tra vertici istituzionali, militari e industriali emergono tre assi centrali: rapporto politica–Difesa, approccio al conflitto multi-dominio e nuovo ruolo dell’industria della difesa.
In apertura l’Ambasciatore Michele Valensise, Presidente dello IAI, ha ribadito che la sicurezza non è più una voce separata dell’agenda, ma la condizione abilitante per libertà d’azione e credibilità internazionale. In un contesto segnato da guerra in Ucraina, crisi regionali e competizione tra grandi potenze, la Difesa viene presentata come tema strutturale di politica interna ed estera, da leggere in chiave multidominio e in interdipendenza con economia, energia e tecnologia.
Questa linea è stata rafforzata dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha respinto la visione della Difesa come “costo” e l’ha definita investimento per sviluppo, stabilità e credibilità internazionale. Da qui l’idea di un “patto di sistema” tra politica, Forze Armate, industria e società civile, in cui la sicurezza diventa responsabilità collettiva. Il dominio cibernetico, descritto dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale e dal Sottosegretario alla Difesa come “dominio di conflitto continuo”, rende evidente che proteggere reti e dati significa proteggere il Paese.
Il costante riferimento a NATO e cooperazione europea sui grandi programmi conferma una Difesa italiana incardinata in una cornice euro-atlantica, dove interoperabilità, sovranità tecnologica e massa critica industriale sono leve di politica estera.

Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Carmine Masiello, ha descritto il conflitto ucraino come “tre guerre in una”: una guerra convenzionale (artiglieria, trincee, fortificazioni), una guerra tecnologica (sensori, fuochi di precisione, robotica, droni) e una guerra informazionale, in cui la narrazione diventa strumento di potere. Il rischio, ha avvertito, è prepararsi alla guerra sbagliata, guardando solo a Est e trascurando le minacce da Africa, Medio Oriente e Artico, dove dominano instabilità e attori ibridi.
Per Masiello l’Esercito deve diventare profondamente tecnologico, integrando guerra elettronica, difesa anti-drone multilivello e capacità cyber con la ricostruzione degli assetti pesanti indeboliti da vent’anni di posture expeditionary. Sul fronte dell’intelligenza artificiale, il generale ha evidenziato un nodo cruciale: le Forze Armate italiane vogliono mantenere “l’uomo nel loop”, mentre l’avversario potrebbe non farlo. Questa asimmetria nei tempi di reazione e nelle responsabilità impone una revisione di dottrina, regole d’ingaggio e quadro normativo.
La visione di Masiello si integra con quella del Capo di Stato Maggiore della Difesa Luciano Portolano e del Comandante del COVI Giovanni Iannucci, che collocano il tutto nel paradigma delle operazioni multi-dominio. Lo studio IAI “Le operazioni multi-dominio: verso una dottrina integrata” sottolinea che il conflitto non si vince più sommando capacità, ma integrandole in tempo reale tramite reti, sensori e dati resilienti.
Portolano invoca Forze Armate più connesse (catene di comando integrate e sensori permanenti e distribuiti), più agili nei tempi decisionali e orientate alla deterrenza preventiva, cioè capaci di prevenire e dissuadere prima dell’escalation. Iannucci insiste sulla necessità di un quadro situazionale continuo e condiviso fra domini e Forze Armate, attraverso un sistema di comando e controllo integrato.
Nel complesso, Masiello, Portolano e Iannucci propongono un approccio al conflitto che unisce alta intensità convenzionale, guerra ibrida, dimensione informativa e dominio cyber, fondato su integrazione interforze, cooperazione inter-agenzia e coinvolgimento diretto di industria e società civile come componenti dell’ecosistema di sicurezza.

La terza direttrice del Summit è la necessità di ripensare il rapporto industria–Difesa. Il Presidente di AIAD Giuseppe Cossiga ha ricordato che il traguardo del 2% del PIL non garantisce da solo maggiori capacità: se si raddoppiano gli ordini, l’industria deve poter raddoppiare la produzione, avere personale qualificato, impianti adeguati, accesso al credito e materie prime strategiche. Senza una supply chain rafforzata, il rischio è una crescente dipendenza dall’estero per componenti e sistemi che l’Italia e l’Europa dovrebbero produrre, con effetti sulla sovranità tecnologica e sulla resilienza strategica.
Da Iveco Defence Vehicles, Avio Aero, Rheinmetall Italy, MBDA Italia, Fincantieri e da tutto il comparto emerge la richiesta di una filiera europea della difesa più radicata e meno esposta alla delocalizzazione extra-UE. La deterrenza viene letta anche come capacità industriale di produrre tecnologie strategiche in quantità, qualità e tempi compatibili con la minaccia. I grandi programmi comuni – dal nuovo carro da battaglia alle iniziative su artiglieria, missilistica, piattaforme navali e subacquee – richiedono massa critica, pianificazione di lungo periodo e una strategia industriale coordinata a livello continentale.
Su questo si innesta il tema del capitale umano. Pierfederico Scarpa ha evidenziato una carenza strutturale di tecnici, ingegneri, analisti, operatori cyber e specialisti avanzati. Senza queste figure, anche i sistemi più sofisticati restano sottoutilizzati o vulnerabili.
Per rendere il settore attrattivo ai giovani servono programmi formativi stabili, percorsi tecnici e accademici integrati, carriere competitive e un deciso cambio di narrativa pubblica, superando la demonizzazione del comparto e riconoscendone il ruolo sociale e strategico. L’industria è quindi chiamata a trasformarsi da semplice fornitore episodico a partner strutturale nella costruzione di sovranità tecnologica e capacità di deterrenza nazionale ed europea.
Il filo conduttore del Defence Summit è la convergenza di tre piani che in passato sono stati spesso separati:
In questo quadro, la scelta non è più se investire o meno nella Difesa, ma se farlo ora, in modo coerente e sistemico, oppure subire gli effetti di futuri shock strategici. Il messaggio che arriva dal Summit è netto: per l’Italia la finestra per una trasformazione politica, militare e industriale urgente e accelerata è aperta, ma non lo resterà a lungo.






