La guerra moderna sta vivendo una trasformazione senza precedenti. L’emergere di droni, sistemi aerei senza equipaggio (UAS) e armi ipersoniche ha messo in discussione l’efficacia delle difese aeree tradizionali della NATO. Queste minacce sfruttano vulnerabilità tecnologiche e dottrinali, costringendo gli alleati a rivedere profondamente le strategie di Integrated Air and Missile Defence (IAMD).
Da un lato, i droni spaziano da piattaforme militari sofisticate a semplici modelli commerciali riadattati come ordigni improvvisati. In Ucraina, l’impiego massiccio di UAS russi come gli Shahed-136 ha mostrato come velivoli relativamente economici possano colpire con precisione infrastrutture critiche, eludendo radar e sistemi di intercettazione. Le difficoltà delle forze ucraine nel rilevare e neutralizzare questi piccoli obiettivi hanno evidenziato limiti concreti della difesa aerea convenzionale.
Dall’altro lato, le armi ipersoniche rappresentano una minaccia qualitativamente nuova. Missili come il russo Kinzhal viaggiano a velocità superiori a Mach 5, manovrano lungo traiettorie non lineari e riducono drasticamente il tempo a disposizione per una risposta difensiva. L’uso operativo di questi sistemi nella guerra in Ucraina segna un punto di svolta: i difensori sono costretti a riallocare risorse limitate per contrastare un’arma in grado di colpire con preavviso minimo.
Il quadro che emerge è chiaro: senza un adattamento profondo dell’addestramento e della dottrina, la NATO rischia di trovarsi impreparata di fronte a minacce che combinano velocità, economia dei mezzi e capacità di saturazione.
La prima area da rafforzare è quella dell’addestramento. I programmi tradizionali non hanno preparato adeguatamente i difensori a identificare e contrastare minacce “LSS” (low, slow, small), come i droni di piccole dimensioni, né a reagire alle caratteristiche uniche delle armi ipersoniche.

Per essere efficaci, gli operatori devono sviluppare due categorie di competenze:
L’addestramento individuale va poi inserito in un quadro collettivo. La NATO deve investire in esercitazioni congiunte che simulino scenari realistici di minacce ipersoniche e UAS, così da testare la reattività delle unità e la capacità di coordinamento multinazionale. L’interoperabilità tra domini — aria, spazio e cyber — diventa cruciale: solo un approccio integrato può garantire una risposta efficace.
Importante anche il tema dello scambio di intelligence. Sistemi come il Battlefield Information Collection and Exploitation System (BICES) permettono di condividere rapidamente informazioni tra alleati, aggiornando in tempo reale le minacce e adattando le procedure di addestramento. Senza un flusso informativo costante, ogni miglioramento tattico rischierebbe di perdere efficacia.
L’adattamento non può fermarsi alla sola formazione: serve una revisione dottrinale. Le armi ipersoniche e i droni stanno infatti ridefinendo quattro aree chiave della difesa aerea:
Alcuni alleati NATO hanno già iniziato a sperimentare queste innovazioni. La Germania ha inserito traiettorie ipersoniche nei propri simulatori; i Paesi Bassi hanno rafforzato corsi avanzati come il Patriot Advanced Capability; l’Australia ha adottato strutture di comando decentralizzate per decisioni rapide in scenari complessi. Questi esempi dimostrano come la flessibilità e la collaborazione interforze siano fattori determinanti.
In conclusione, difendere lo spazio aereo dell’Alleanza Atlantica contro droni e minacce ipersoniche richiede un approccio olistico: formazione tecnica e cognitiva, scambio informativo costante, interoperabilità e innovazione dottrinale. Solo una NATO capace di adattarsi in maniera rapida e iterativa potrà trasformare queste sfide in un’opportunità per rafforzare la propria postura difensiva e garantire la sicurezza collettiva nei decenni a venire.







