Il messaggio della National Security Strategy di Washington è brutale: l’epoca in cui gli Stati Uniti reggevano l’ordine globale quasi da soli è finita. La priorità oggi è difendere il territorio americano, i confini, le catene di approvvigionamento e impedire che in Europa o in Asia emergano potenze egemoni ostili, senza però intervenire automaticamente in ogni crisi. “Pace attraverso la forza” rimane il principio guida, ma abbinato a un forte istinto alla non-intervenzione: più deterrenza, meno guerre di scelta.
Cambia anche il rapporto con il sistema internazionale. Gli USA non vogliono più farsi imbrigliare da norme e istituzioni considerate ostili o comunque troppo limitanti. La sovranità nazionale torna al centro, così come una linea durissima sulla migrazione di massa, descritta non come risorsa ma come vulnerabilità strategica. In parallelo arriva il messaggio agli alleati: d’ora in poi il conto lo pagate anche voi. L’idea di fondo è il burden-shifting: spostare oneri e rischi su Europa e Asia. Per la NATO il vecchio obiettivo del 2% del Pil per la difesa appare superato; si spinge per una vera corsa al riarmo. Chi non si adegua, peserà meno.

Per gli Stati Uniti l’Europa resta fondamentale, ma non più come modello di governance o “culla del diritto”. È un fronte strategico che rischia di trasformarsi in problema. Nello sguardo americano il continente appare economicamente stagnante, iper-regolato e diffidente verso l’innovazione, demograficamente in declino e politicamente attraversato da governi fragili, spesso inclini a reprimere il dissenso in nome della stabilità. Dietro la retorica sulla democrazia, Washington vede un’Europa insicura, introversa e dipendente, che chiede protezione ma discute ogni decisione americana.
Il nodo russo è emblematico. Gli USA invitano gli europei a tornare alla realtà dei rapporti di forza: nel complesso l’Unione è più ricca e più forte della Russia, escluso l’arsenale nucleare. Continuare a descrivere Mosca solo come minaccia esistenziale viene considerato eccessivo e politicamente tossico. Da qui l’obiettivo dichiarato di chiudere la guerra in Ucraina con un accordo, non appena possibile, per evitare che l’Europa si logori del tutto sul piano economico e sociale. Meno sogni di “vittorie decisive”, più realpolitik.
La lista delle richieste americane al Vecchio Continente è impegnativa: investire molto di più nella difesa e assumere la guida militare del teatro europeo; ricostruire, quando le condizioni lo permetteranno, una forma di stabilità con la Russia senza per questo premiarla; smettere di frenare la crescita con regolazioni soffocanti; rimanere saldamente nel campo occidentale nella competizione tecnologica ed economica con la Cina. In altre parole, Washington non abbandona l’Europa, ma non sarà più il suo assicuratore totale.

Se la Russia è un problema da gestire, la Cina è il rivale strategico di lungo periodo. Nel racconto americano non si tratta solo di un concorrente economico, ma di un sistema alternativo che ambisce a riscrivere le regole del commercio, della tecnologia e dell’influenza politica globale. Pechino, secondo Washington, ha sfruttato l’accesso ai mercati occidentali per arricchirsi e armarsi, pratica dumping e sussidi di Stato, ruba tecnologie, controlla segmenti cruciali delle catene del valore globali, dalle materie prime ai componenti high-tech, e usa infrastrutture, prestiti e grandi progetti come leve di potere nel cosiddetto Global South.
Di fronte a questo scenario, gli Stati Uniti archiviano le illusioni della globalizzazione felice e impostano una nuova dottrina economica. Il cuore è la reindustrializzazione interna, sostenuta da tariffe e incentivi, la riduzione delle dipendenze critiche dalla Cina, il controllo degli investimenti cinesi nei settori sensibili e la costruzione di un blocco economico occidentale, fatto di USA e alleati, basato su regole più dure per commercio, tecnologia, dati e infrastrutture.
Sul piano militare la priorità è l’Indo-Pacifico. Washington vuole evitare una guerra su Taiwan, ma al tempo stesso mantenere una deterrenza credibile, impedendo che la Cina ottenga il controllo della First Island Chain e del Mar Cinese Meridionale. Per riuscirci punta sul rafforzamento delle proprie forze navali, aeree, spaziali e nucleari, e spinge gli alleati regionali – Giappone, Australia, Corea del Sud, India, Filippine – a riarmarsi, coordinarsi e concedere maggiori accessi alle basi. L’obiettivo è chiaro: impedire l’egemonia cinese in Asia senza arrivare allo scontro diretto, ma preparandosi comunque allo scenario peggiore.
Nel triangolo USA–Cina–Europa, il nostro continente rischia di diventare l’anello debole. Gli Stati Uniti chiedono più soldi per la difesa e meno prediche normative; la Cina si propone come partner commerciale e tecnologico indispensabile; la Russia resta un vicino instabile da neutralizzare come fattore di caos, senza trasformarla in ossessione permanente. Per l’Italia e gli altri Paesi europei, questo si traduce in tre scelte difficili:
La nuova strategia americana non è un ritiro, ma un riequilibrio brusco. Gli USA restano il perno dell’Occidente, ma immaginano un mondo in cui gli europei garantiscano da soli la sicurezza del loro continente, gli asiatici facciano la loro parte per contenere la Cina e l’America possa concentrarsi su ciò che conta davvero: la sfida sistemica con Pechino e il benessere del proprio ceto medio. Il messaggio finale all’Europa è implicito ma chiarissimo: scegliere da che parte stare non basta più. Adesso bisogna anche dimostrare di esserne all’altezza.

USA: Europa prendi in mano tuo Destino
Fonte: https://www.whitehouse.gov/wp-content/uploads/2025/12/2025-National-Security-Strategy.pdf
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