Sotto il sole dell’Arizona, gli aerei accatastati a Davis–Monthan e le navi in disarmo sul James River ricordano una verità semplice: l’hardware, senza cura, decade. Il futuro della forza militare non farà eccezione: comprare sistemi è la parte visibile, mantenerli pronti è quella decisiva.
Il programma Replicator del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti vuole mettere in campo, molto velocemente, migliaia di droni e sistemi autonomi a basso costo.
Il passo successivo dovrebbe essere Replicator-3: una rivoluzione del sustainment, la progettazione di una rete di sostegno che mantenga queste forze realmente impiegabili.
Oggi la priorità è la produzione, in risposta alla crescita militare cinese, soprattutto nel teatro indo-pacifico. Ma una “ondata unmanned” rischia di essere operativamente vuota se non si pianifica come stoccarla, ripararla, alimentarla e farla funzionare per anni. I dati della Government Accountability Office mostrano che perfino le flotte con equipaggio faticano a restare pronte. Pensare che migliaia di droni complessi, costruiti in fretta, possano farlo senza una struttura diversa è illusorio.

Un mito diffuso sostiene che i sistemi senza equipaggio abbiano una coda logistica più corta. Per le piattaforme marittime a lungo raggio, ricche di sensori, è falso. La manutenibilità può migliorare con componenti modulari, manutenzione predittiva e design “attritabili”, ma la moltiplicazione dei sistemi aumenta il lavoro di manutenzione a livello operativo e avanzato. Servono tecnici, attrezzature e infrastrutture forward che oggi sono sottodimensionate.
In Ucraina si vedono droni piccoli, economici, prodotti e persi in quantità enormi. L’Indo-Pacifico è diverso:
Questi sistemi dovranno resistere a corrosione e lunghi periodi di inattività, garantire controllo sicuro a lungo raggio, essere modulari e basati su diritti di manutenzione chiari per il governo. Inoltre richiederanno molta più manodopera di quanto spesso si creda.
La produzione privata – da aziende come Anduril o Saronic – oggi si concentra sulle linee di montaggio, non sulla rete di sostegno in teatro. Ma i sistemi costruiti ora potrebbero rimanere inattivi per anni prima di un conflitto e, senza cura costante, non saranno pronti. La fiducia tra operatori e piattaforme nasce dall’uso reale, non solo dal simulatore: se non si opera in tempo di pace, molti sistemi non funzioneranno come previsto in guerra.

Replicator-3 dovrebbe colmare il divario tra velocità di produzione e capacità di sustainment, agendo su tre fronti:
La rete di sustainment dovrà essere dispersa, resiliente, parzialmente automatizzata, capace di operare con rifornimenti irregolari. Piccoli reattori modulari, generazione energetica off-grid e manifattura additiva in teatro potranno alimentare e rifornire flotte distribuite senza dipendere solo da grandi basi vulnerabili.
Infine, serviranno team spedizionieri dedicati, equivalenti militari del modello di manutenzione dei grandi operatori di veicoli autonomi commerciali: piccoli gruppi che, da basi austere, gestiscono batterie, moduli, software e lanci operativi.
Se questa rivoluzione del sustainment non avverrà, i comandanti si ritroveranno a cannibalizzare piattaforme, attendere mesi pezzi di ricambio o limitare drasticamente l’impiego. Il risultato: un arsenale impressionante sulla carta ma una deterrenza fragile nella realtà. Replicator-3 deve dunque essere, prima di tutto, la rivoluzione logistica che rende credibile l’era dei sistemi senza equipaggio.

La guerra dei droni si vince con il supporto di Replicator-3
Fonte: https://warontherocks.com/2025/11/replicator-3-should-be-the-sustainment-revolution/
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