Il Nuovo Esercito: perché guardare all’America Latina

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L’Italia è alla vigilia di una riforma strutturale della Difesa. Il ministro Guido Crosetto si prepara a mandare in Parlamento, tra gennaio e febbraio 2026, un disegno di legge che punta a superare la legge 244 – quella che fissava il tetto del personale a 170 mila unità – e ad aprire la strada a un modello di “leva volontaria” sul solco di Francia e Germania, con 30-40 mila militari in più e una vera Riserva di almeno 10 mila persone, inclusi civili altamente specializzati.

Nel disegno del ministro, quell’anno di servizio volontario dovrebbe essere anche una “seconda chance” per i giovani provenienti da territori difficili, un’occasione di riscatto con uno stipendio e una formazione spendibile nella vita civile. Ma la domanda resta: dove trovare i numeri per alimentare questo nuovo modello, in un Paese in cui – come ricorda il generale Leonardo Tricarico – “il militare è uno dei lavori che gli italiani non vogliono più fare”?

Tricarico propone un “decreto flussi anche per i militari” rivolto a Paesi come Libia, Egitto, Somalia, sostenendo che quei profili sarebbero utili nelle missioni in Africa e nei teatri più instabili. L’obiezione che circola, però, è che un reclutamento massiccio da Paesi a forte maggioranza musulmana rischierebbe di “aumentare l’islamizzazione”, dentro e fuori le caserme.

Senza scivolare in slogan identitari – e ricordando che le Forze armate sono, e devono restare laiche – esiste una strada diversa e più pragmatica: guardare con decisione ai Paesi dell’America Latina, legati all’Italia da storia, sangue, lingua e, in larga parte, da una comune matrice cristiana.

Il Nuovo Esercito: perché guardare all’America Latina
Il Nuovo Esercito: perché guardare all’America Latina

Il precedente spagnolo: quando Madrid aprì le porte ai latinoamericani

La Spagna questo dibattito l’ha già vissuto. All’inizio degli anni Duemila, dopo la fine della leva obbligatoria, Madrid si trovò con lo stesso problema che oggi ha Roma: come riempire le caserme senza abbassare gli standard qualitativi. La risposta fu un “piano di reclutamento” mirato che aprì le forze armate ai giovani dell’America Latina; i primi ad arrivare furono uruguaiani e argentini, con il servizio militare come corsia preferenziale verso la cittadinanza spagnola.

Ancora oggi, l’Esercito spagnolo è un laboratorio interessante: una quota consistente dei suoi effettivi è composta da stranieri, e dal 2002 Madrid accetta arruolamenti da una lunga lista di Paesi latinoamericani (Argentina, Colombia, Perù, Messico, ecc.) e dalla Guinea Equatoriale, purché i candidati siano di origine ispanica.

Tre elementi rendono questo modello particolarmente interessante per l’Italia:

  1. Affinità linguistica e culturale
    Lo spagnolo e le lingue latinoamericane romanze sono molto vicine all’italiano; la tradizione cattolica e cristiana è prevalente, i codici sociali sono simili, il rapporto con la famiglia e con l’autorità non è distante da quello mediterraneo.
  2. Percorso verso l’integrazione piena
    In Spagna il servizio militare è stato usato come volano per l’inclusione: addestramento, disciplina, lingua, regole comuni – e, alla fine, cittadinanza per chi dimostra attaccamento allo Stato. È la logica: “prima ti formo come soldato e cittadino, poi ti riconosco come tale”.
  3. Nessuna “guerra di religione” nelle caserme
    Il tema non viene declinato come scontro di civiltà, ma come gestione intelligente dei flussi migratori: se ho bisogno di soldati e ho un bacino di giovani culturalmente affini e motivati, perché ignorarlo?

L’Italia, con una diaspora enorme in Argentina, Brasile, Uruguay, Venezuela e in tanti altri Paesi latinoamericani, ha addirittura un asset in più: milioni di italo-discendenti che, spesso, coltivano ancora un forte legame sentimentale con il “Paese dei nonni”.

Il Nuovo Esercito: perché guardare all’America Latina
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L’alternativa a Tricarico: più America Latina, meno emergenzialità

La proposta del generale Tricarico – flussi dedicati per reclutare da Libia, Egitto, Somalia – nasce da esigenze operative (missioni in Africa, mediatori culturali, conoscenza del territorio) che sono reali. Ma sono esigenze specifiche, non possono diventare l’architrave di una riforma generale del reclutamento.

Per almeno tre motivi:

  1. Le missioni cambiano, l’Esercito resta
    Formare un’intera “linea” di reclute in funzione di un solo teatro operativo rischia di renderle meno adattabili nel lungo periodo. L’Esercito del futuro deve saper operare dal Baltico al Sahel, dal Mediterraneo orientale al cyberspazio.
  2. Integrazione e percezione interna
    Non si tratta di stigmatizzare nessuna fede religiosa, ma di riconoscere che l’opinione pubblica italiana è già attraversata da tensioni sull’immigrazione. Un reclutamento percepito come “importazione di manodopera militare” da Paesi in conflitto o instabili rischia di alimentare diffidenza, invece che rafforzare il legame popolo–Forze armate.
  3. Valorizzare il “capitale storico” dell’Italia nel mondo
    Perché non partire da dove l’Italia è già “di casa”? America Latina, ma anche comunità italo-discendenti in altre aree, giovani che parlano (o capiscono) l’italiano, che hanno nonni calabresi, siciliani, veneti, piemontesi. Sono loro i primi candidati naturali a un percorso di arruolamento con vista cittadinanza.

La linea di fondo è semplice: il reclutamento dall’estero non deve diventare uno strumento di ingegneria culturale o religiosa, ma una scelta di buon senso strategico. E in questo senso l’America Latina offre una combinazione rara di affinità culturale, motivazione personale e gratitudine verso il Paese che offre un’opportunità di carriera e di cittadinanza.

Il Nuovo Esercito: perché guardare all’America Latina
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Senza stipendi competitivi nessuna riforma funzionerà

C’è però un punto su cui Crosetto ha perfettamente ragione: non basta cambiare le regole, bisogna pagare meglio i militari.

Oggi un militare italiano non dirigente parte da una retribuzione che, al netto, resta spesso inferiore a quella dei colleghi di Francia e Germania a parità di compiti e responsabilità. Se guardiamo fuori confine, il quadro cambia: in Germania lo stipendio medio di un soldato è indicato attorno ai 2.500 euro mensili, in Francia la media è poco sopra i 2.600 euro. Si tratta di valori che collocano le forze armate di Berlino e Parigi su un gradino retributivo più alto rispetto a quelle italiane.

In altre parole: se l’Italia vuole giocare nella stessa “serie” di Francia e Germania, non può avere un esercito low cost. Né per i giovani italiani né, tanto meno, per eventuali volontari stranieri.

Un modello credibile potrebbe essere questo:

  • stipendi iniziali più alti, allineati almeno alla fascia medio–europea per compiti equivalenti;
  • indennità chiare e trasparenti per rischio, specializzazione, prontezza operativa;
  • percorsi di carriera rapidi per chi dimostra merito, con contratti stabili e prospettive almeno comparabili a quelle delle forze armate di Berlino e Parigi.

Solo così il “patto” proposto dal ministro – un anno di vita al servizio del Paese in cambio di formazione e stipendio dignitoso – può risultare attrattivo per i giovani italiani e per quei latinoamericani che vedrebbero nell’Italia non solo un datore di lavoro, ma una patria possibile.

Reclutare dall’America Latina, ma offrendo cittadinanza e dignità

Un eventuale “decreto flussi militare” orientato ai Paesi latinoamericani avrebbe senso solo se inserito in una cornice di piena dignità giuridica e sociale:

  • status chiaro fin dal primo giorno: non manodopera a basso costo, ma volontari che scelgono di servire l’Italia con diritti e doveri in linea con i colleghi italiani;
  • percorso verso la cittadinanza per chi completa senza macchie un certo numero di anni di servizio, sul modello spagnolo;
  • investimento serio nella lingua e nella cultura italiana, perché il primo collante di un esercito è il sentirsi parte della stessa comunità nazionale, al di là del luogo di nascita.

Così l’Italia risponderebbe, con pragmatismo, a tre urgenze: la crisi delle vocazioni interne, la necessità di rafforzare la Difesa in un’Europa che deve sapersi proteggere anche senza l’ombrello americano, la gestione ordinata dei flussi migratori verso il nostro Paese.

Il Nuovo Esercito: perché guardare all’America Latina
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Conclusione: meno paure, più strategia

La vera scelta è tra un sistema di reclutamento improvvisato, che rincorre l’emergenza, e un progetto coerente che:

  • paga i militari quanto meritano,
  • valorizza il bacino enorme di italo-discendenti e di giovani latinoamericani culturalmente affini,
  • mantiene aperta, ma mirata, la porta a profili strategici provenienti da altre aree del mondo.

In questo quadro, la linea che guarda all’America Latina – sulla scia del modello spagnolo – appare più solida e sostenibile di quella che fa leva principalmente su Paesi fragili e instabili. Non per paura dell’altro, ma per rispetto della nostra storia, per efficienza operativa e, soprattutto, per coerenza con l’idea di un Esercito che sia davvero specchio di una comunità nazionale forte, aperta e consapevole di sé.

Il Nuovo Esercito: perché guardare all’America Latina

Fonte: https://www.quotidiano.net/cronaca/lesercito-del-futuro-crosetto-lavora-alla-riforma-piu-militari-e-meglio-pagati-p324jedu

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Al secolo Alessandro Generotti, C.le magg. Paracadutista in congedo. Brevetto Paracadutista Militare nº 192806. 186º RGT Par. Folgore/5º BTG. Par. El Alamein/XIII Cp. Par. Condor. Fondatore e amministratore del sito web BRIGATAFOLGORE.NET e DIFESANEWS.COM. Blogger e informatico di professione

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