Governare lo spazio: tra difesa, astrofisica e new space economy

L’accesso allo spazio sta vivendo una trasformazione radicale. Costi di lancio sempre più bassi, infrastrutture orbitali sviluppate con rapidità e l’ingresso massiccio di attori privati hanno dato vita a quella che viene definita new space economy. Un cambiamento che non riguarda solo telecomunicazioni e servizi commerciali, ma che investe direttamente la scienza di base, a cominciare dall’astrofisica.

Di questo tema si è occupato Media INAF, che ha ripreso i contenuti di uno studio pubblicato sulla rivista Space Policy e firmato da Fabrizio Fiore, direttore dell’Osservatorio Astronomico dell’INAF di Trieste, insieme a Martin Elvis, del Center for Astrophysics – Harvard & Smithsonian. Lo studio, intitolato Space science & the space economy, propone una riflessione su come l’evoluzione del mercato spaziale influenzi la ricerca scientifica e la sicurezza orbitale.

Uno dei casi citati è quello di LiciaCube, il cubesat italiano che ha documentato da vicino l’impatto della missione NASA DART contro l’asteroide Dimorphos. Con strumenti ordinari e un budget ridotto, ha prodotto risultati scientifici unici, dimostrando che si può fare scienza di punta anche con soluzioni economiche, sfruttando la standardizzazione dei componenti. Un approccio che richiama i programmi storici come Explorer della NASA, costruiti su missioni agili e mirate.

Opportunità e rischi: dal James Webb alla governance dello spazio

Accanto a questi modelli snelli, rimane l’esempio opposto del James Webb Space Telescope (JWST): dieci miliardi di dollari, vent’anni di sviluppo e risultati scientifici straordinari. Fiore sottolinea, tuttavia, che JWST rappresenta il limite strutturale di un modello ormai difficilmente replicabile. Nel contesto della new space economy, missioni monumentali rischiano di scontrarsi con un vero e proprio “funding wall”, come dimostra anche la cancellazione della missione Mars Sample Return del JPL.

Un altro elemento cruciale riguarda la governance. I dati raccolti da Media INAF mostrano la crescita esponenziale dei lanci: dai circa 200 satelliti annui del 2000 ai 3000 del 2023. Questo aumento solleva il problema della sostenibilità orbitale e del rischio di collisioni a catena, la cosiddetta sindrome di Kessler.

Il nodo è che il principale riferimento giuridico resta l’Outer Space Treaty del 1967, ormai inadeguato rispetto alle sfide attuali. Alcuni invocano nuovi trattati globali, altri auspicano una totale libertà d’azione in logica da “Far West”. Fiore mette in guardia da scenari privi di regole: lo spazio è un ambiente fragile e un conflitto tra missioni lunari o orbitali potrebbe compromettere anni di ricerca e di investimenti strategici.

Il ruolo dell’Europa e le prospettive per la difesa spaziale

Lo studio evidenzia come la new space economy sia oggi soprattutto un fenomeno statunitense, con radici piantate nei primi anni Duemila. L’Europa, invece, sconta un ritardo cronico, anche se l’ESA ha avviato programmi di sostegno a start-up e PMI innovative. Diverso il quadro in Cina, dove si registra un boom sia nelle attività governative che in quelle private, con una proiezione internazionale crescente.

Se l’Europa non accelererà e se gli Stati Uniti dovessero ridurre gli investimenti pubblici, sarà probabilmente la Cina a scrivere molte delle prossime pagine di esplorazione spaziale. Uno scenario che non riguarda solo la scienza, ma anche la difesa e la sicurezza orbitale, ormai riconosciute come dimensioni strategiche al pari di terra, mare, aria e cyberspazio.

In conclusione, Fiore ed Elvis – come ricorda Media INAF – sottolineano che la new space economy è insieme una strada obbligata e una grande opportunità. Per l’astrofisica significa puntare su missioni più agili, partnership pubblico-private e una governance internazionale più solida. Solo così sarà possibile evitare che la corsa allo spazio degeneri in un nuovo Far West e, al contrario, trasformarla in un volano per la scienza, la difesa e la cooperazione globale.