La crisi tra Stati Uniti e Venezuela è entrata in una fase di forte tensione nelle ultime ore, con sviluppi che hanno avuto immediate ripercussioni sul traffico aereo internazionale e sull’attività diplomatica a Caracas. Sei compagnie aeree, tra cui le europee Iberia e TAP, hanno sospeso i voli da e per il Venezuela dopo l’allerta diramata dalla Federal Aviation Administration (FAA), che ha segnalato «situazioni potenzialmente pericolose» legate al rapido deterioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese e all’aumento dell’attività militare nell’area.
La raccomandazione della FAA invita tutti gli operatori che sorvolano lo spazio aereo venezuelano a mantenere la “massima prudenza“. Le piattaforme di monitoraggio dei voli mostrano un progressivo svuotamento del traffico in ingresso e in uscita dal Paese, mentre cresce l’incertezza su cosa possa accadere nelle prossime ore.

Parallelamente al caos nel settore aereo, emergono notizie secondo cui diversi diplomatici stranieri starebbero lasciando Caracas. Secondo Jennifer Griffin, corrispondente di sicurezza nazionale di Fox News, l’uscita di personale diplomatico sarebbe legata all’imminente decisione di Washington di inserire il “Cartel de los Soles” — presunto gruppo criminale che l’amministrazione Trump attribuisce a Nicolás Maduro e al suo entourage — nella lista delle organizzazioni terroristiche.
L’inserimento formale del Cartel de los Soles come organizzazione terroristica potrebbe rappresentare uno dei punti di svolta più significativi nella strategia statunitense verso Caracas degli ultimi anni, aprendo la porta a un ventaglio di operazioni più aggressive, tanto sul piano diplomatico quanto su quello militare.
La mossa si inserisce in una pressione crescente su Maduro perché lasci il potere e consenta una transizione politica che Washington definisce “democratica”.
Nel marzo 2020 il Dipartimento di Stato ha offerto una ricompensa di 15 milioni di dollari per informazioni utili alla cattura di Maduro, accusato di narcoterrorismo. L’importo è stato poi portato a 25 milioni nel gennaio 2025, all’indomani del suo contestato insediamento per il terzo mandato. Infine, nell’agosto 2025, la taglia è stata innalzata a 50 milioni di dollari, una cifra record che lo colloca di fatto al vertice della lista dei ricercati nella regione.
Al suo fianco, il “numero due” del regime, Diosdado Cabello, è ricercato con una taglia di 25 milioni di dollari, mentre sul ministro della Difesa Vladimir Padrino López pende una ricompensa di 15 milioni. Per Washington, non si è più di fronte soltanto a un regime autoritario: Maduro e i vertici militari vengono ormai trattati come narcotrafficanti internazionali e terroristi.

La componente militare della crisi è diventata troppo evidente per essere ignorata.
Da agosto gli Stati Uniti hanno schierato nel sud dei Caraibi sette navi da guerra: tre cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke (USS Gravely, USS Jason Dunham e USS Sampson), un incrociatore, un sottomarino d’attacco nucleare e tre navi anfibie (USS Iwo Jima, USS San Antonio e USS Fort Lauderdale).
A bordo si trovano circa 4.500 militari, tra cui 2.200 marines e un numero non divulgato di operatori delle forze speciali dei Navy SEALs, pronti a operazioni di sbarco o interventi rapidi. Il gruppo d’attacco è guidato dalla portaerei Gerald R. Ford, fulcro della capacità di proiezione di potenza statunitense nella regione.
Questa concentrazione navale, insieme all’allerta sulla sicurezza dello spazio aereo venezuelano, alimenta i timori di un’ulteriore escalation. Le immagini satellitari e le tracce AIS e ADS-B delle ultime settimane hanno contribuito a rafforzare la percezione di una presenza militare statunitense sempre più massiccia a ridosso delle acque di interesse venezuelano.
Gli indizi emersi nelle ultime ore lasciano presagire un attacco imminente.

Un elemento rilevante emerso nelle ultime ore è il possibile collegamento tra gli sviluppi in Venezuela e le trattative in corso a Ginevra sul piano di pace tra Russia e Ucraina, alla presenza del segretario di Stato americano. Secondo quanto riportato da Griffin, il tempismo delle iniziative statunitensi non sarebbe casuale: la gestione del dossier ucraino potrebbe intrecciarsi con le imminenti mosse contro Maduro, considerato un alleato di Mosca e parte della sua sfera di influenza nel continente americano.
In questa chiave, il Venezuela non sarebbe solo una crisi regionale, ma un tassello di un confronto strategico più ampio tra Stati Uniti e Russia, in cui il controllo delle risorse energetiche e delle rotte marittime continua a giocare un ruolo decisivo.

Nel mezzo della crisi, il presidente colombiano Gustavo Petro è intervenuto dichiarando che dovrebbero esistere voli regolari con tutti i Paesi, Venezuela incluso, ma ha anche chiarito di non sostenere né il governo Maduro né un’eventuale invasione statunitense. Una posizione che riflette le profonde divisioni politiche del continente latinoamericano e, allo stesso tempo, il timore condiviso di un conflitto aperto alle porte.
La Colombia, storicamente il principale alleato regionale degli Stati Uniti nella zona, si trova così in equilibrio tra la volontà di evitare un’escalation armata e la necessità di prendere le distanze dal regime di Caracas. La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha invece parlato apertamente di “minaccia alla stabilità regionale”.

Con il traffico aereo ridotto al minimo, diplomatici in uscita, una massiccia concentrazione navale USA nel Mar dei Caraibi, la possibile designazione del Cartel de los Soles come gruppo terroristico e le voci di operazioni coperte coordinate con la CIA, la situazione resta estremamente fluida e potenzialmente esplosiva.
Washington appare determinata a intensificare la pressione su Nicolás Maduro come parte di una strategia più ampia che intreccia la crisi venezuelana con gli equilibri globali tra Stati Uniti, Russia e i loro alleati. Le prossime ore e i prossimi giorni potrebbero rivelarsi decisivi per capire se la crisi resterà confinata sul piano della pressione diplomatica e militare, o se si trasformerà in un intervento diretto dagli esiti difficilmente prevedibili.
Fonti:

Nicolás Maduro e Diosdado Cabello, entrambi con una taglia rispettivamente di 50 e 25 milioni di dollari - Foto: EFE






