Per oltre un secolo, il carro armato ha incarnato l’immagine della potenza militare. Dal fronte occidentale della Seconda guerra mondiale al deserto iracheno, era la macchina che decideva battaglie e guerre: un colosso d’acciaio capace di sfondare linee, proteggere la fanteria e resistere al fuoco nemico. Oggi, però, il mito dell’invulnerabilità corazzata è entrato in crisi. Il fronte ucraino, con l’arrivo massiccio dei droni economici, manovrabili e precisi, ha mostrato che l’acciaio da solo non basta più.
I droni FPV (First Person View), guidati come in un videogioco, sono diventati la nuova minaccia letale: minuscoli, veloci, difficili da individuare, capaci di infilarsi nei punti deboli dei mezzi corazzati, colpendo botole, torrette e cingoli. In questo scenario, il carro armato non può più operare isolato. Sopravvive solo all’interno di un ecosistema che integra ricognizione aerea, guerra elettronica, artiglieria e difese antiaeree a corto raggio. È una trasformazione che ha reso obsolete le dottrine tradizionali e obbligato le forze armate a improvvisare soluzioni di fortuna.
Le immagini provenienti dal fronte mostrano sagome corazzate ricoperte da gabbie metalliche, reti tese come pergolati, catene penzolanti e pannelli di gomma fissati ai lati. Accorgimenti spesso rudimentali, ma vitali per far esplodere i droni prima che raggiungano le corazze. Anche i sofisticati Abrams americani, arrivati in Ucraina nell’autunno 2023, sono stati bardati con protezioni improvvisate: senza, sarebbero diventati bersagli facili.
Non è un fenomeno nuovo. Già nel 2022 i carri russi venivano colpiti da missili anticarro occidentali, inducendo le prime difese con gabbie saldate sopra le torrette. Ma la vera svolta è arrivata con l’ondata di droni FPV nel 2023. Ogni innovazione offensiva ha generato una risposta difensiva, in un continuo ciclo di adattamento che mette in secondo piano la qualità del singolo mezzo a favore della rapidità con cui si reagisce.
Le perdite elevate hanno spinto l’industria militare a reagire. In Europa, la Francia e la Germania hanno rilanciato il progetto MGCS, che immagina il carro del futuro come parte di un “sistema di sistemi”, con mezzi con e senza equipaggio collegati da sensori e architetture digitali. La Polonia, più pragmatica, ha preferito acquistare centinaia di tank sudcoreani K2, garantendosi disponibilità immediata. La Russia, invece, ha scelto la via della quantità: modernizzare i vecchi T-72 e T-90 con corazze, reti e schermature anti-drone, accettando perdite elevate pur di mantenere la superiorità numerica.
Questa corsa riflette un dato di fondo: il carro armato non è più l’assoluto protagonista del campo di battaglia, ma una pedina all’interno di un mosaico complesso. I droni non sostituiscono artiglieria e aviazione, ma le affiancano logorando il nemico, obbligandolo a consumare risorse e a esporsi. L’efficacia nasce dalla combinazione tra strumenti diversi, non dalla supremazia di uno solo.
Dalle battaglie ucraine emergono tre direttrici fondamentali:
Il carro armato non è morto, ma ha perso la sua aura di invincibilità. Sopravvive solo se accompagnato da una rete di supporto integrato e se costantemente aggiornato con difese contro minacce sempre nuove. La guerra in Ucraina ha reso evidente che l’asimmetria, incarnata dai droni a basso costo, può mettere in crisi persino i colossi corazzati. In questo equilibrio instabile tra innovazione e improvvisazione si gioca il futuro delle dottrine militari: non più affidarsi a un’unica macchina dominante, ma costruire sistemi resilienti, flessibili e adattabili.

Il crepuscolo dei corazzati: i droni economici spezzano l’invulnerabilità dei tank






