40 anni dal dirottamento dell’Achille Lauro: quando l’Italia disse NO agli Stati Uniti

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40 anni dal dirottamento dell’Achille Lauro: quando l’Italia disse NO agli Stati Uniti

Alle ore 13 di lunedì 7 ottobre 1985, la nave da crociera Achille Lauro, orgoglio della marina mercantile italiana, naviga pacificamente nelle acque territoriali egiziane. Ventiquattromila tonnellate di stazza, duecento metri di lunghezza, bandiera italiana. A bordo ci sono 107 passeggeri e 320 membri dell’equipaggio. Altri 670 turisti si trovano a terra, impegnati in una visita guidata al Cairo. Il rientro è previsto in serata, a Port Said.

Dopo l’Egitto, la meta successiva è Ashdod, in Israele. Ma in Israele l’Achille Lauro non arriverà mai. Quello che doveva essere un viaggio di piacere si trasformerà in un dramma internazionale che metterà alla prova il governo italiano e i rapporti con gli Stati Uniti.

L’Italia del 1985: tra equilibrio e tensioni internazionali

In quel momento, il presidente del Consiglio è Bettino Craxi, da due anni a Palazzo Chigi. Al Quirinale, da pochi mesi, Francesco Cossiga. Alla Farnesina, Giulio Andreotti, figura esperta e prudente, uomo di relazioni e di equilibrio.

L’Italia vive una fase di forte tensione diplomatica tra i due mondi: da un lato l’alleanza atlantica, dall’altro il dialogo con il Medio Oriente e i Paesi arabi.

L’irruzione a bordo: quattro uomini cambiano la storia

Alle 13:07, mentre i passeggeri pranzano nella sala da pranzo, quattro uomini armati di Kalashnikov irrompono all’improvviso. Gli spari squarciano l’aria, le urla si mescolano al caos. Una pallottola colpisce un marinaio a una gamba. In pochi minuti, la nave è completamente nelle mani dei dirottatori.

Sono quattro militanti palestinesi, uno dei quali minorenne, appartenenti al Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP), una fazione dell’OLP. Si sono imbarcati a Genova con passaporti falsi ungheresi e greci. Il loro obiettivo era compiere un attentato nel porto israeliano di Ashdod, ma scoperti dall’equipaggio mentre maneggiavano armi, decidono di cambiare piano e prendere il controllo della nave.

Le prime ore del sequestro

Il marconista riesce a inviare un disperato messaggio radio:

Mayday, mayday, Achille Lauro. Siamo stati dirottati da un numero imprecisato di palestinesi. Chiedono la liberazione di cinquanta loro compagni detenuti in Israele.

Il segnale viene captato a Göteborg, in Svezia. È il primo allarme ufficiale. Alle 17:00 la notizia arriva alla Farnesina. Giulio Andreotti convoca l’unità di crisi, mentre il ministro della Difesa Giovanni Spadolini, informato a Milano, dispone l’immediata allerta delle Forze Armate. L’Italia si muove su due fronti: la via diplomatica, incarnata da Andreotti, e la linea della fermezza militare, sostenuta da Spadolini.

Le ore decisive: diplomazia o forza?

La sera del 7 ottobre, nella sede della Farnesina, Andreotti apre i canali diplomatici. Contatta l’egiziano Boutros Boutros-Ghali, che garantisce collaborazione, e il leader palestinese Yasser Arafat, che prende ufficialmente le distanze dall’azione terroristica. Nel frattempo, a Castelporziano, il presidente Cossiga è costantemente informato.

Spadolini, rientrato a Roma, riunisce i vertici militari e incarica le Forze Speciali di prepararsi a un intervento armato. Nasce l’Operazione Margherita: il Raggruppamento Teseo Tesei del COMSUBIN viene imbarcato sulla nave “Vittorio Veneto”, mentre da Livorno decollano quattro elicotteri con 60 incursori del 9º Battaglione “Col Moschin”.

Ma l’azione militare si rivela troppo rischiosa: gli americani spingono per un attacco, Craxi e Andreotti insistono sulla via della trattativa.

Abul Abbas entra in scena

Durante la notte, Yasser Arafat chiama personalmente Bettino Craxi e comunica l’invio di due emissari per negoziare la resa dei terroristi. Uno di loro è Abul Abbas, leader del Fronte per la Liberazione della Palestina. Uomo ambiguo, diviso tra diplomazia e militanza, con un passato di attentati in Israele e in Europa.

Mentre i ricognitori italiani individuano la nave, i terroristi chiedono di attraccare in Siria, nel porto di Tartus. Andreotti telefona direttamente al presidente siriano Hafez al-Assad, che inizialmente acconsente, ma poi ritira il permesso su pressione americana. L’Achille Lauro resta bloccata in mare, circondata dalle tensioni diplomatiche.

L’assassinio di Leon Klinghoffer

Frustrati e isolati, i terroristi cercano di distinguere i passeggeri per nazionalità. Tra loro, un uomo in sedia a rotelle: Leon Klinghoffer, sessantanove anni, ebreo americano, a bordo con la moglie per celebrare il loro anniversario. È lui la vittima scelta.
Viene trascinato sul ponte, ucciso con due colpi di pistola e gettato in mare.

La notizia dell’omicidio si diffonde lentamente. Per ore, le autorità italiane ignorano quanto accaduto. Il comandante De Rosa, minacciato, dichiara che “tutti i passeggeri stanno bene”, permettendo al negoziato di proseguire.

La resa e l’inganno diplomatico

Il 9 ottobre, l’Achille Lauro getta l’ancora al largo di Port Said, in Egitto. Grazie alla mediazione di Abul Abbas e del governo egiziano, i terroristi accettano di deporre le armi in cambio di un salvacondotto. L’ambasciatore italiano Vincenzo Migliuolo firma l’accordo. L’Italia pensa che nessuno sia morto.

Ma poche ore dopo, l’intelligence americana intercetta le comunicazioni: Klinghoffer è stato ucciso. Craxi apprende la notizia solo a negoziato concluso. È ormai tardi: i quattro dirottatori sono stati presi in consegna dagli egiziani e stanno per lasciare l’Egitto a bordo di un Boeing 737 della EgyptAir, insieme a Abul Abbas e ai mediatori dell’OLP.

Sigonella: l’Italia dice no

La sera del 10 ottobre, due caccia americani F-14 intercettano l’aereo egiziano e lo costringono ad atterrare nella base NATO di Sigonella, in Sicilia.

È l’inizio della crisi più grave tra Italia e Stati Uniti dal dopoguerra.

Appena atterrato, l’aereo viene circondato dai militari italiani della Vigilanza Aeronautica Militare (VAM). Pochi minuti dopo, la Delta Force statunitense, giunta con due C-141, circonda a sua volta gli italiani. Una scena surreale: armi puntate, soldati contro soldati, alleati che si guardano negli occhi in silenzio.

Il generale Ercolano Annichiarico, comandante della base, dispone i mezzi a difesa del Boeing egiziano. Craxi, avvertito, ordina: “L’aereo è sotto la giurisdizione italiana. Nessuno vi ponga piede senza autorizzazione.”

Per ore, la tensione rimane altissima. Reagan chiede a Craxi di consegnare i terroristi e Abul Abbas. Craxi risponde: “I reati sono stati commessi su una nave italiana, la giurisdizione è nostra.”

È la prima volta nella storia repubblicana che l’Italia si oppone apertamente agli Stati Uniti.

Alla fine, nella notte tra il 10 e l’11 ottobre, dopo uno scontro verbale durissimo, Reagan accetta la decisione di Roma. La Delta Force si ritira. I quattro dirottatori vengono arrestati e consegnati alla giustizia italiana. Abul Abbas resta a bordo dell’aereo egiziano, che ottiene il permesso di decollare per Roma, poi Fiumicino, e infine per Belgrado, dove troverà rifugio.

Il processo e l’eredità di Sigonella

Nel 1986, il Tribunale di Genova condannò Abul Abbas all’ergastolo come mandante del dirottamento dell’Achille Lauro e dell’omicidio di Leon Klinghoffer. La stessa pena fu inflitta a due dei quattro dirottatori, mentre il quarto, minorenne al momento dei fatti, ricevette una condanna a 17 anni di reclusione.

Nel 1987, la Corte d’Assise d’Appello di Genova confermò tutte le condanne. Negli anni successivi, uno dei responsabili dell’omicidio di Klinghoffer evase durante un permesso premio e venne poi arrestato in Spagna, per essere nuovamente estradato in Italia.

Il leader palestinese Abul Abbas, rifugiatosi a Baghdad sotto la protezione del regime di Saddam Hussein, venne catturato nel 2003 dalle forze speciali statunitensi durante la guerra in Iraq. Morì l’anno seguente, nel 2004, in un carcere americano nei pressi di Baghdad.

Sul piano politico, la gestione della crisi provocò forti tensioni nel governo italiano. I ministri repubblicani, guidati da Giovanni Spadolini, rassegnarono le dimissioni, ma la crisi si risolse in pochi giorni.

Il 19 ottobre 1985, una lettera personale del presidente statunitense Ronald Reagan a Bettino Craxi — nota come “Dear Bettino” — contribuì a ricucire ufficialmente i rapporti diplomatici tra Roma e Washington, riaffermando la cooperazione tra i due Paesi nella lotta al terrorismo internazionale.

A distanza di quarant’anni, la vicenda dell’Achille Lauro e la crisi di Sigonella restano uno degli episodi più significativi della storia italiana del secondo dopoguerra, esempio di quanto complessi e delicati fossero gli equilibri internazionali dell’epoca.

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Al secolo Alessandro Generotti, C.le magg. Paracadutista in congedo. Brevetto Paracadutista Militare nº 192806. 186º RGT Par. Folgore/5º BTG. Par. El Alamein/XIII Cp. Par. Condor. Fondatore e amministratore del sito web BRIGATAFOLGORE.NET e DIFESANEWS.COM. Blogger e informatico di professione

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