Nel corso della mattinata del 7 ottobre 2025, la notizia di una presunta presenza di agenti del Mossad – il servizio di intelligence estero israeliano – a Udine per scortare la nazionale israeliana di calcio in vista della partita contro l’Italia ha suscitato scalpore e reazioni immediate. Secondo alcune prime indiscrezioni, gli agenti avrebbero collaborato con le forze dell’ordine italiane nella protezione della delegazione israeliana durante la permanenza in Friuli.
Nel giro di poche ore, però, è arrivata la smentita del Ministero dell’Interno. In una nota diffusa tramite l’Agenzia Ansa, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha dichiarato che “non vi è stata alcuna presenza di servizi di intelligence stranieri a Udine in occasione della gara di calcio Italia–Israele”. Il Viminale ha precisato che la sicurezza dell’incontro e della squadra ospite è stata garantita “interamente dalle forze italiane, in coordinamento con le autorità israeliane secondo le ordinarie procedure diplomatiche”.
La smentita ha avuto lo scopo di chiarire rapidamente una situazione potenzialmente imbarazzante, riaffermando il principio di piena sovranità italiana sulle attività di sicurezza interna. Nonostante ciò, la vicenda ha sollevato interrogativi sull’origine delle indiscrezioni e sul ruolo effettivo di eventuali collaborazioni tra servizi, spesso coperte da riservatezza.
Resta confermato, invece, che i giocatori israeliani soggiornano in una struttura protetta, la cui ubicazione non è stata resa pubblica per motivi di sicurezza. Una misura che rientra nella prassi adottata in occasione di trasferte internazionali considerate sensibili.
La diffusione della notizia, anche se smentita, ha riacceso il dibattito sulla collaborazione tra servizi di sicurezza di Paesi alleati, in particolare quando sono coinvolti rappresentanti israeliani. Da oltre cinquant’anni, infatti, Israele mantiene un protocollo di sicurezza estremamente rigoroso per tutte le delegazioni sportive all’estero, una prassi nata dopo la strage di Monaco del 1972, in cui undici atleti israeliani furono uccisi da terroristi palestinesi.

Da allora, la sicurezza per gli sportivi israeliani è considerata una questione di sicurezza nazionale, con la partecipazione di personale specializzato nelle valutazioni preventive e nella gestione dei rischi. Tuttavia, tra cooperazione tecnica e presenza operativa di agenti armati esiste una linea sottile. Ed è proprio su questo punto che il Ministero dell’Interno ha voluto fare chiarezza: le autorità israeliane possono fornire informazioni o coordinarsi con la controparte italiana, ma non possono svolgere attività dirette sul territorio nazionale senza autorizzazione.
L’Italia, come molti altri Paesi europei, mantiene da anni rapporti di intelligence con Israele, soprattutto in materia di contrasto al terrorismo e di sicurezza cibernetica. Tuttavia, queste collaborazioni si sviluppano in un quadro di riservatezza diplomatica, e raramente emergono al pubblico. L’eco mediatica del presunto arrivo del Mossad a Udine dimostra quanto il tema della sicurezza internazionale sia oggi strettamente intrecciato alla percezione pubblica e alla gestione dell’informazione.
In un contesto geopolitico segnato dalle tensioni in Medio Oriente e da un clima di vigilanza rafforzata in tutta Europa, anche una semplice voce può innescare reazioni a catena, amplificate dai social media. La tempestiva smentita del Viminale, dunque, ha avuto anche una funzione preventiva contro la disinformazione, evitando che la vicenda degenerasse in un caso politico o diplomatico.
L’episodio di Udine, a prescindere dalla sua veridicità, assume un significato che va oltre la cronaca sportiva. Il calcio, come spesso accade, diventa una lente attraverso cui leggere i rapporti tra Stati, la cooperazione internazionale e il delicato equilibrio tra sicurezza e libertà. La presenza della nazionale israeliana in Italia avviene in un periodo di forte tensione mediorientale e di attenzione globale verso i temi della sicurezza.
Per Israele, garantire l’incolumità dei propri rappresentanti all’estero è una priorità assoluta; per l’Italia, assicurare protezione agli ospiti stranieri senza rinunciare alla propria autonomia istituzionale è un dovere e un banco di prova. Da questo equilibrio nasce la complessità della gestione di eventi come la partita di Udine: garantire la sicurezza senza oltrepassare la linea della sovranità.

Dal punto di vista simbolico, la vicenda conferma come la cooperazione tra Roma e Tel Aviv resti solida, ma anche prudente. Negli ultimi anni i due Paesi hanno intensificato i rapporti nei settori della difesa, della tecnologia e della cybersecurity, mantenendo però un chiaro rispetto reciproco delle competenze territoriali.
Oggi, 7 ottobre 2025, la situazione appare pienamente sotto controllo: la nazionale israeliana prosegue il proprio ritiro in sicurezza, le autorità italiane presidiano il territorio e il Viminale ribadisce la piena competenza delle forze nazionali. Nessun agente straniero, dunque, a Udine. Solo un’attenzione elevata, comprensibile alla luce dei tempi e delle tensioni globali.
In conclusione, la vicenda del presunto intervento del Mossad a Udine si chiude, almeno per ora, con una smentita netta e una lezione chiara: nel mondo dell’informazione istantanea, la velocità non può sostituire la verifica dei fatti. E se la sicurezza resta una priorità assoluta, lo è anche la trasparenza. Perché, in definitiva, la fiducia del pubblico si costruisce non solo sul controllo del territorio, ma sulla certezza della verità.

14 ottobre 2025 Italia–Israele
Fonte: https://www.udinetoday.it/cronaca/sicurezza-mossad-italia-israele-smentita.html
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