Quando un militare non è più in servizio attivo, i giornali e le televisioni tendono spesso a presentarlo come “ex generale”, “ex colonnello” o “ex maresciallo”. Una formula apparentemente innocua, ma che rivela una scarsa conoscenza della normativa italiana e, soprattutto, un profondo errore concettuale.
Un militare, infatti, non cessa mai di esserlo: il grado e la qualifica sono acquisiti per sempre, così come avviene con una laurea o con un’onorificenza.
La legge n. 113 del 10 aprile 1954, con le successive modifiche e integrazioni, disciplina lo stato giuridico dei militari italiani. Secondo tale normativa, un militare può trovarsi in diverse condizioni:
In nessuno di questi casi, tuttavia, la legge contempla l’uso del termine “ex”. Il grado e la qualifica, una volta conferiti — per gli ufficiali con decreto del Presidente della Repubblica e per sottufficiali e truppa con provvedimenti ministeriali — hanno valore a vita.
Non esistono dunque “ex ufficiali”, ma nemmeno “ex marescialli”, “ex sergenti” o “ex soldati”: ogni militare resta tale per sempre, indipendentemente dalla posizione in cui si trova.
Un Generale può essere in servizio o in congedo, ma non sarà mai un “ex Generale”. Lo stesso vale per ogni altro grado: un Maresciallo dei Carabinieri potrà essere ex comandante di stazione, ma mai “ex Maresciallo”; un Soldato, che rappresenta il primo gradino della gerarchia dell’Esercito, resta tale per sempre.
È corretto dire “ex Comandante” di un reparto o “ex Direttore” di un ufficio, perché ci si riferisce a una funzione, non a un grado. Ma definire “ex” la qualifica stessa è scorretto, sia linguisticamente che giuridicamente.
Alcuni corpi militari rappresentano molto più di un periodo di servizio: sono un’identità che accompagna per sempre chi li ha vissuti. Gli Alpini, i Bersaglieri e i Paracadutisti incarnano questo legame indissolubile con una tradizione, un simbolo e uno stile di vita che non si perdono con il congedo. Parlare di “ex alpino”, “ex bersagliere” o “ex paracadutista” è non solo improprio, ma anche offensivo per chi ha portato con orgoglio il cappello con la penna, il piumetto o il basco amaranto.
L’unica definizione corretta è “alpino in congedo”, “bersagliere in congedo” o “paracadutista in congedo”, perché si può lasciare la divisa, ma non l’appartenenza a un corpo che diventa parte integrante della propria identità per la vita.
La perdita del grado avviene esclusivamente attraverso una sentenza penale che commini la degradazione o la rimozione dal grado. Si tratta di provvedimenti disciplinati dal Codice Penale Militare di Pace (CPMP) e dal Codice Penale Militare di Guerra (CPMG).
In particolare:
Questi articoli sanciscono che il militare può decadere dal grado solo a seguito di reati di eccezionale gravità, tali da ledere non solo la sua dignità personale, ma soprattutto l’onore delle Forze Armate e della Repubblica.
La degradazione non è una sanzione amministrativa o disciplinare ordinaria, ma una pena accessoria che consegue a condanne gravi.
Tra i casi che possono condurre alla degradazione vi sono:
È bene sottolineare che si tratta di episodi eccezionali. Nella stragrande maggioranza dei casi, i militari che terminano il servizio rimangono a vita portatori del proprio grado, sia che si trovino in congedo, in riserva o in ausiliaria.
Il conferimento del grado non è un atto amministrativo ordinario: per gli ufficiali avviene tramite decreto del Presidente della Repubblica, mentre per sottufficiali e truppa mediante provvedimenti ministeriali. In ogni caso si tratta di un riconoscimento di natura permanente, che per importanza giuridica e morale può essere paragonato a una laurea, a un diploma o a una decorazione onorifica: titoli che non perdono mai validità.
Così come non si diventa mai “ex laureati” o “ex decorati”, non si diventa mai “ex ufficiali” o “ex soldati”. Il grado militare ha un carattere indelebile: può essere sospeso nell’esercizio delle funzioni, ma non viene mai cancellato, salvo nei rarissimi casi di condanna penale con sentenza che comporti la degradazione.
Definire un militare “ex” significa banalizzare la sua storia, il suo servizio e il suo impegno. È un errore che i mezzi di comunicazione dovrebbero evitare, sostituendolo con termini corretti come “in congedo”, “in ausiliaria” o “già comandante”.
Perché non esistono ex: la qualifica e il grado sono acquisiti per sempre.






