Nei giorni scorsi le navi da guerra nipponiche JS Ise e JS Suzunami, con a bordo oltre 500 membri dell’equipaggio, hanno attraccato nel porto di Wellington, in Nuova Zelanda, per una visita rara e altamente simbolica. Accompagnati dalla nave neozelandese HMNZS Canterbury, i due cacciatorpediniere giapponesi provenivano da Sydney, dove avevano preso parte ad esercitazioni militari congiunte con Nuova Zelanda, Australia e altri Paesi.
Secondo quanto riportato dall’Associated Press, la visita è stata principalmente cerimoniale, ma il tempismo non è casuale: essa giunge in un momento in cui il Giappone, storicamente legato da un trattato di alleanza esclusivamente con gli Stati Uniti, cerca di ampliare la cooperazione militare bilaterale nella regione.
Come ha sottolineato l’inviato nipponico a Wellington, Makoto Osawa, l’obiettivo di Tokyo è contribuire a un “Indo-Pacifico libero e aperto”, stringendo rapporti di difesa non solo con Australia e Nuova Zelanda, ma anche con le piccole nazioni insulari del Pacifico, oggi al centro di una crescente competizione geopolitica tra Pechino e le potenze filo-occidentali.
Parallelamente, in Nuova Zelanda si è avviato un tavolo per la definizione di un accordo logistico di difesa con il Giappone, volto a facilitare le operazioni congiunte e la cooperazione tecnica. A completare il quadro, in Australia, il colosso Mitsubishi Heavy Industries ha recentemente battuto la concorrenza tedesca assicurandosi un contratto per la costruzione di nuove navi da guerra: un’intesa che Canberra ha definito “il più importante accordo di Difesa mai siglato con Tokyo”.
La presenza navale giapponese a Wellington non è solo una dimostrazione di amicizia: rappresenta un tassello di una strategia ben più ampia, volta a contenere le manovre militari della Cina nei mari dell’Asia e a rafforzare l’influenza nipponica nel Pacifico meridionale.
Tradizionalmente, la marina giapponese non si spinge così a sud nel Pacifico, ma la crescente rilevanza strategica delle acque di Australia, Nuova Zelanda e dei micro-Stati insulari spinge Tokyo a rompere gli schemi. Questi mari, ricchi di risorse e cruciali per le rotte commerciali, sono ormai teatro di una competizione serrata: da un lato, la Cina con la sua “Belt and Road Initiative” marittima; dall’altro, Stati Uniti, Giappone, Australia e alleati regionali che cercano di contenere l’espansione di Pechino.
Il Giappone, consapevole della propria posizione geografica e della dipendenza dalle rotte marittime, sta costruendo una fitta rete diplomatica e militare per garantire sicurezza e stabilità. Il legame con Washington resta il pilastro fondamentale, ma Tokyo si muove con crescente autonomia, stringendo accordi diretti con partner regionali.

Il messaggio è chiaro: Tokyo non intende restare spettatrice. L’ombra della Cina incombe non solo nelle acque del Mar Cinese Orientale e Meridionale, ma anche nell’Oceano Pacifico, dove Pechino mira a conquistare spazio politico, economico e militare. Per il Giappone, il rafforzamento delle relazioni con Australia e Nuova Zelanda diventa quindi un elemento cruciale della propria politica di sicurezza.
Il dispiegamento navale e gli accordi di cooperazione si inseriscono in una più ampia politica di riarmo e modernizzazione delle Forze di Autodifesa Giapponesi, perseguita con decisione dal governo di Tokyo negli ultimi anni.
La “lista della spesa” del Giappone è lunga e significativa: dai missili antinave Type 12 alle armi iperveloci plananti per la difesa delle isole, passando per sistemi di comunicazione satellitare e capacità missilistiche di lungo raggio. Tra le acquisizioni più rilevanti figurano i Tomahawk americani per i cacciatorpediniere, i missili Joint Strike di Kongsberg per gli F-35, i JASSM-ER a lungo raggio per i caccia F-15 e i droni MQ-9B SeaGuardian e V-BAT destinati a operare da piattaforme navali.

Tali investimenti segnano un cambio di passo rispetto al tradizionale approccio difensivo sancito dalla Costituzione giapponese del dopoguerra. Senza rinnegare formalmente il pacifismo costituzionale, Tokyo punta oggi a sviluppare una capacità di deterrenza credibile, in grado di scoraggiare le ambizioni cinesi e di proteggere le isole remote dell’arcipelago.
La scelta di diversificare gli alleati e di estendere la presenza navale nel Pacifico indica che il Giappone non si limita a contare sull’ombrello americano, ma cerca di diventare attore proattivo nella sicurezza regionale. Una mossa che non passa inosservata: Pechino osserva con crescente preoccupazione le manovre di Tokyo, mentre le piccole nazioni insulari del Pacifico vedono aprirsi nuove opportunità di cooperazione ma anche nuove pressioni geopolitiche.
In definitiva, il Giappone sta ridefinendo il proprio ruolo internazionale: da potenza economica a player militare e strategico nell’Indo-Pacifico. La visita delle navi da guerra a Wellington non è un episodio isolato, ma il simbolo di una traiettoria chiara: Tokyo vuole essere in prima linea nella competizione con la Cina, giocando la partita non solo a casa propria ma sull’intero scacchiere del Pacifico.






