Mentre gli eserciti di tutto il mondo cercano di trarre insegnamenti dal conflitto in Ucraina, una domanda si impone con forza: i droni possono davvero sostituire da soli i tradizionali sistemi d’arma come carri armati e artiglieria?
Per la NATO, le implicazioni vanno ben oltre la sfera tattica. Alle prese con la ricostruzione delle proprie forze dopo anni di “sonnolenza”, l’Alleanza Atlantica si trova di fronte a decisioni difficili per allocare risorse limitate tra capacità industriali e investimenti militari. In un’era in cui i droni costano poche centinaia di dollari e un carro armato milioni, la scelta sembra ovvia… ma non è così semplice.
Justin Bronk, analista del Royal United Services Institute, avverte che puntare in modo eccessivo sui piccoli droni, siano essi da ricognizione o d’attacco usa e getta, rischia di essere un errore strategico. La Russia, infatti, dispone di una delle difese anti-drone più avanzate al mondo: disturbi elettronici, sistemi d’arma a corto raggio, barriere fisiche e protezioni improvvisate hanno ridotto notevolmente l’efficacia dei velivoli senza pilota. Di conseguenza, soltanto una minima parte dei droni riesce a raggiungere l’obiettivo e ancor meno sono in grado di infliggere danni realmente significativi.

Il successo dei droni in Ucraina non è dipeso solo dalla loro presenza, ma dall’integrazione con l’artiglieria e con altri sistemi d’arma tradizionali. Cannoni, missili a lungo raggio come GMLRS e ATACMS, ordigni da crociera Storm Shadow/SCALP e soprattutto le bombe plananti hanno creato una barriera che ha limitato i movimenti russi e ridotto l’efficacia delle loro difese anti-drone.
Per questo motivo, se la NATO si affidasse esclusivamente ai droni, in un ipotetico conflitto contro i Russi, questi avrebbero gioco facile nel neutralizzarne l’impatto. I velivoli senza pilota danno il meglio quando agiscono come strumenti di supporto: saturano le difese, distraggono il nemico e aprono la strada a sistemi più potenti. In questo contesto, un ruolo di primo piano spetta alle bombe plananti, considerate dagli analisti una risorsa strategica: più economiche dei missili guidati (circa 25.000 dollari per una JDAM contro oltre un milione per un ATACMS), sono in grado di distruggere veicoli blindati, depositi e infrastrutture chiave, con il vantaggio di poter essere prodotte in grandi quantità.

Il messaggio che arriva è inequivocabile: i droni rappresentano una risorsa preziosa, ma non possono sostituire da soli l’artiglieria, i carri armati e la potenza aerea. La vera sfida per la NATO sarà saper integrare le nuove tecnologie con le capacità militari tradizionali, creando un sistema coordinato e flessibile. Solo un approccio combinato, che unisca innovazione e forza convenzionale, potrà garantire un vantaggio reale sui campi di battaglia del futuro.
Chi riuscirà a fondere droni e sistemi convenzionali avrà un vantaggio strategico decisivo. “È molto più semplice contrastare una forza che si basa soprattutto su droni economici e in massa, piuttosto che affrontare un team ben integrato di potenza aerea, fuoco a lungo raggio, blindati, artiglieria e mortai” conclude Justin Bronk.

Droni sì, ma non bastano: perché la NATO ha ancora bisogno dei carri armati






