Ventidue anni dopo, l’Italia si raccoglie nel ricordo della strage di Nassiriya, il più grave attacco subito dai nostri contingenti all’estero dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Era il 12 novembre 2003, ore 10:40 locali, 08:40 in Italia, quando un camion cisterna carico di esplosivo fu fatto detonare davanti all’ingresso della base “Maestrale” della MSU (Multinational Specialized Unit) dei Carabinieri nel centro abitato di Nassiriya. L’onda d’urto, seguita dall’esplosione del deposito munizioni, causò 28 vittime: 19 italiani e 9 iracheni, oltre a decine di feriti.
In quella mattina, l’Appuntato Andrea Filippa, di guardia al varco principale, riuscì a neutralizzare i due attentatori: il mezzo non penetrò all’interno della caserma e deflagrò sul cancello, evitando un bilancio ancora più catastrofico. I primi soccorsi arrivarono dagli stessi Carabinieri, dalla neo-polizia irachena e dai civili della città.

Il Comando dell’Italian Joint Task Force (IJTF) operava a circa 7 km da Nassiriya, nella base “White Horse”, non lontano dal comando statunitense di Tallil. La MSU/IRAQ, composta da Carabinieri italiani e Gendarmeria romena (con l’aggiunta, da fine novembre 2003, di 120 uomini della Guardia Nazionale Repubblicana portoghese), era dislocata su due basi nel centro cittadino:
La scelta di restare a contatto con la popolazione — diversamente dall’Esercito, più defilato per ragioni di sicurezza — fu dettata dal mandato di polizia di stabilità proprio della MSU.
L’esplosione ridusse la Maestrale a uno scheletro di cemento e danneggiò anche la vicina base Libeccio. Tra i coinvolti, la troupe del regista Stefano Rolla, in città per girare uno sceneggiato sulla ricostruzione affidata agli italiani, e militari dell’Esercito che la scortavano.
Due mesi più tardi, il Reggimento Carabinieri lasciò anche la Libeccio, trasferendosi a Camp Mittica presso l’ex aeroporto di Tallil, a 7 km da Nassiriya.
I Caduti provenivano da diversi reparti dell’Arma territoriale e mobili (tra cui 13º Carabinieri “Friuli Venezia Giulia” e 7º Carabinieri “Trentino-Alto Adige”) e da unità dell’Esercito (Reggimento Lagunari “Serenissima”, Brigata Folgore, 66º Reggimento Fanteria Aeromobile “Trieste”, Savoia Cavalleria, Reggimento Trasimeno, militari della Brigata “Sassari” in scorta alla troupe e 3 del 6º Reggimento Trasporti della Brigata Logistica di Proiezione in scorta al cooperatore Beci).

La camera ardente fu allestita al Sacrario delle Bandiere del Vittoriano, dove si svolse un lungo pellegrinaggio di cittadini. I funerali di Stato, celebrati il 18 novembre 2003 nella Basilica di San Paolo fuori le mura e officiati dal Cardinale Camillo Ruini, videro la presenza delle più alte cariche dello Stato e di una commossa partecipazione popolare stimata in circa 50.000 persone. Per l’occasione fu proclamato il lutto nazionale.
Nassiriya è ferita e memoria. È il simbolo del prezzo pagato da chi opera per la sicurezza, la stabilità e la ricostruzione in contesti complessi, con compiti che spaziano dal controllo del territorio alla polizia di prossimità, dalla tutela dei civili al supporto alle istituzioni locali.
A ventidue anni di distanza, il dovere del ricordo si unisce all’impegno a trasmettere i valori che quei militari e civili hanno incarnato: coraggio, professionalità, responsabilità, servizio.






