Il 2 luglio 1993, sotto il sole di Mogadiscio, l’Italia smise di essere solo una forza di pace.
In un impavido venerdí di Luglio, i nostri militari affrontarono un agguato violento e prolungato, tra fuoco nemico, barricate, razzi anticarro e civili usati come scudi umani.
Fu il primo vero scontro a fuoco per l’Esercito Italiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il ritorno a una realtà di combattimento, nel cuore di una missione “umanitaria”.
Fu la battaglia del Check Point Pasta.
Ore e ore di combattimenti spazzarono via, per sempre, l’immaginario collettivo del soldato italiano del dopoguerra: quello buono per i sorrisi e per offrire il miglior rancio agli ospiti in visita a una base italiana, ma che lasciava la guerra vera agli altri.
Quel 2 luglio, a Mogadiscio, l’Italia riscoprì Soldati valorosi, pronti ad immolarsi fino all’estremo sacrificio.
In quella battaglia morirono tre Uomini: il Caporale Paracadutista Pasquale Baccaro, il Sottotenente Andrea Millevoi e il Sergente Maggiore Paracadutista Incursore Stefano Paolicchi. Altri militari rientrarono in Italia portando ferite profonde, visibili e invisibili.
Ferite che, per molti, non si sarebbero mai rimarginate.
Tra loro il Sottotenente Gianfranco Paglia, Medaglia d’Oro al Valor Militare, ferito gravemente mentre cercava di salvare i propri commilitoni e oggi ancora al servizio del Paese nonostante le gravi menomazioni fisiche. Esempio vivente di coraggio e dedizione, totale, alla Patria.
Non è una pagina nei libri di scuola. Non è una data celebrata dallo Stato.
È una memoria viva solo per chi c’era, per chi ha perso un fratello in armi, per chi ha sentito le urla via radio da un blindato immobilizzato. Quelle stesse voci, a oltre trent’anni di distanza, riecheggiano ancora nella mente di chi le ha vissute e, forse, lo faranno per sempre.
Eppure, la battaglia del Checkpoint Pasta fu un banco di prova: lì cambiò tutto.
Cambiò il modo di concepire le missioni italiane all’estero, il coordinamento tra reparti, l’equipaggiamento, l’addestramento, ma sopratutto la mentalità.
Non fu un esercito impreparato, ma un esercito messo alla prova.
E fu proprio quel sacrificio a far emergere, in tutta la sua forza, il vero significato dell’essere un Soldato. Da quel 2 luglio nacque un esercito più consapevole, forgiato da un’identità militare solida e incrollabile. Un esercito che poteva piegarsi, sì, ma mai spezzarsi di fronte a un nemico.
Oggi 2 luglio 2025, a 32 anni esatti di distanza, il nostro dovere è ricordare non solo l’eroismo, ma anche l’assenza di memoria. Perché nessun soldato italiano, caduto in nome dell'ITALIA, deve mai essere dimenticato.
Onore ai Caduti. Rispetto ai sopravvissuti. Memoria per tutti.


2 luglio 1993: il giorno che cambiò tutto - DIFESANEWS.COM - Notizie difesa, sicurezza e geopolitica






